Gran Torino
(USA/2008) di Clint Eastwood (116')
2000 Cult

Gran Torino
(USA/2008) di Clint Eastwood (116')
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Qual è il fantasma che ritorna in Gran Torino? Prima di tutto quello, mai appagato e sempre attuale, della violenza. Violenza della storia, violenza degli altri e delle comunità fra di loro, violenza in sé: “la cosa che tormenta di più un uomo è quella che non gli hanno ordinato di fare”, dice al giovane prete il veterano Kowalski (Clint Eastwood) per confessare il ricordo lancinante degli orrori della guerra e dei crimini commessi in quella parte del mondo. Ma il vero fantasma di Gran Torino [...] viene dai grandi momenti della filmografia di Eastwood, fonte di un inevitabile gioco di rimandi. Così come Flags of Our Fathers si misura di nuovo con un racconto non lineare e con il labirinto temporale ereditato da Bird, e Changeling si rituffa nelle acque agitate di Mystic River, questa volta è Harry “la carogna” in persona, quello di Don Siegel, che Gran Torino evoca. E per esserne sicuri, basta pensare all’apparizione notturna della figura di Kowalski, proprio prima della sparatoria finale, come alla ripresa dell’immensa silhouette nera di Harry alla fine di Coraggio... fatti ammazzare! o all’immagine ribaltata (rispedita al mittente) dell’ultima sequenza dell’Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo! O ancora al gesto ripetuto di Kowalski che mima con il pollice e l’indice una pistola Magnum immaginaria per eliminare i seccatori di qualsiasi specie. Di certo, Eastwood non smette di interrogarsi sulla natura profonda del suo personaggio più celebre, né ha ancora metabolizzato, dopo quasi quarant’anni, le accuse di razzismo e di fascismo lanciategli allepoca da Pauline Kael sul “New Yorker”. E neppure smette di chiedersi, in segreto, se per caso la giornalista non abbia smascherato una parte di lui ignota a se stesso, la sua ‘parte oscura’. Allora l’artista, per rispondersi, ripercorre il cammino fatto, ma (segno dei tempi) questa volta in senso inverso. Se l’Ispettore Callaghan si componeva di due movimenti, dapprima la presentazione di un detective sicuro di sé, efficiente e seduttore, e poi la rivelazione di una sua natura senza freni (violenza brutale, solitudine e persino inquietudine), anche Gran Torino presenta due parti contrapposte. Tuttavia, nella sua ansia di pentimento o di confessione [...], inverte i due scenari. All’inizio mostra un Kowalski misantropo, razzista e reazionario, poi un altro Kowalski, più simpatico, convertito ai pregi del melting pot e del sacrificio. Stupefacente e interminabile dialogo fra un uomo e un ruolo.
Serata promossa da Gabetti
Qual è il fantasma che ritorna in Gran Torino? Prima di tutto quello, mai appagato e sempre attuale, della violenza. Violenza della storia, violenza degli altri e delle comunità fra di loro, violenza in sé: “la cosa che tormenta di più un uomo è quella che non gli hanno ordinato di fare”, dice al giovane prete il veterano Kowalski (Clint Eastwood) per confessare il ricordo lancinante degli orrori della guerra e dei crimini commessi in quella parte del mondo. Ma il vero fantasma di Gran Torino [...] viene dai grandi momenti della filmografia di Eastwood, fonte di un inevitabile gioco di rimandi. Così come Flags of Our Fathers si misura di nuovo con un racconto non lineare e con il labirinto temporale ereditato da Bird, e Changeling si rituffa nelle acque agitate di Mystic River, questa volta è Harry “la carogna” in persona, quello di Don Siegel, che Gran Torino evoca. E per esserne sicuri, basta pensare all’apparizione notturna della figura di Kowalski, proprio prima della sparatoria finale, come alla ripresa dell’immensa silhouette nera di Harry alla fine di Coraggio... fatti ammazzare! o all’immagine ribaltata (rispedita al mittente) dell’ultima sequenza dell’Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo! O ancora al gesto ripetuto di Kowalski che mima con il pollice e l’indice una pistola Magnum immaginaria per eliminare i seccatori di qualsiasi specie. Di certo, Eastwood non smette di interrogarsi sulla natura profonda del suo personaggio più celebre, né ha ancora metabolizzato, dopo quasi quarant’anni, le accuse di razzismo e di fascismo lanciategli allepoca da Pauline Kael sul “New Yorker”. E neppure smette di chiedersi, in segreto, se per caso la giornalista non abbia smascherato una parte di lui ignota a se stesso, la sua ‘parte oscura’. Allora l’artista, per rispondersi, ripercorre il cammino fatto, ma (segno dei tempi) questa volta in senso inverso. Se l’Ispettore Callaghan si componeva di due movimenti, dapprima la presentazione di un detective sicuro di sé, efficiente e seduttore, e poi la rivelazione di una sua natura senza freni (violenza brutale, solitudine e persino inquietudine), anche Gran Torino presenta due parti contrapposte. Tuttavia, nella sua ansia di pentimento o di confessione [...], inverte i due scenari. All’inizio mostra un Kowalski misantropo, razzista e reazionario, poi un altro Kowalski, più simpatico, convertito ai pregi del melting pot e del sacrificio. Stupefacente e interminabile dialogo fra un uomo e un ruolo.
Bertrand Benoliel
Serata promossa da Gabetti