Il giardino delle vergini suicide
(The Virgin Suicides, USA/1999) di Sofia Coppola (97')
2000 Cult
Film scelto dal programma e presentato dal team di giovani cinefili e cinefile del Cinema Ritrovato Young
Film scelto dal programma e presentato dal team di giovani cinefili e cinefile del Cinema Ritrovato Young
Il giardino delle vergini suicide
(The Virgin Suicides, USA/1999) di Sofia Coppola (97')
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Se potessi scrivere un libro, Il giardino delle vergini suicide è quello che vorrei scrivere. Mi è piaciuto molto il modo in cui Jeffrey [Eugenides] ha raccontato il confronto tra età adulta e giovinezza. Il modo in cui è riuscito a essere divertente nei momenti tragici, e le cose inappropriate che accadono, come il ragazzino che lascia la casa dei Lisbon dopo che Cecilia è morta ringraziando i genitori per la festa. Cose che succedono davvero. È così ben scritto, e l’amore ossessivo è sempre piacevole da leggere. Ho molto amato anche il modo in cui parla di qualcosa che non c’è più, che sia un’epoca, una persona o l’innocenza. Mi è sembrato che capisse quella sensazione che tutti conoscono. […] Mentre leggevo ho percepito che era molto cinematografico – così ho cominciato a scrivere come pensavo dovesse essere realizzato. Ho iniziato come se fosse un esercizio sull’adattamento di un libro in una sceneggiatura. Non programmavo di scriverlo interamente, ma una volta iniziato sono andata avanti. E lo facevo nel mio tempo libero e nei weekend perché non lo consideravo lavoro, così non avevo pressioni, perché nessuno doveva vederlo. […]
Ho messo insieme un libro di riferimenti visivi – fotografie – per mostrare come avrei voluto fare il film. […] Il mio rapporto con la fotografia è iniziato quand’ero ragazzina negli anni Ottanta, guardando riviste di moda. Andavo anche alle fiere d’arte con mia madre, che m’incoraggiò a collezionare fotografie, all’epoca era l’arte più accessibile. A una fiera vidi per la prima volta le fotografie di Bill Owens – la sua serie sulle periferie – così quando ho iniziato a lavorare a Il giardino delle vergini suicide le immagini di Owens sono diventate un punto di riferimento. […] La storia del film è un ricordo, ricreato attraverso istantanee sbiadite. Ho lavorato con Ed Lachman, il direttore della fotografia, mostrandogli attraverso le fotografie come avrei voluto che fosse il film. È il modo in cui inizio ogni film, seduta col direttore della fotografia e con il reparto scenografico, guardando fotografie e spiegando “questo è l’aspetto o la sensazione che vorrei produrre”, così che ciascuno ne sia informato. Per me le immagini sono sempre il punto di partenza.
Leggere Le vergini suicide significa soccombere a un nebuloso sogno a occhi aperti linguistico. Il suo narratore è un pronome collettivo; la sua fine è rivelata nella prima frase. E i suoi personaggi principali sono figure sacramentali e sacrificali, più simili a creature di fantasia o leggenda che ad adolescenti americane. Tutto ciò ha richiesto alla Coppola di creare un lungometraggio essenzialmente senza personaggi o storia, e di mantenere l’interesse dello spettatore attraverso stati d’animo, associazioni e immagini significative. […] Il suo istinto le dice chiaramente che il film non è solo un mezzo visivo ma anche emotivo, ed è ansiosa di affrontare il dolore, la frustrazione e la sofferenza che ribollono sotto la tranquilla opulenza del suo sobborgo incantato.
Se potessi scrivere un libro, Il giardino delle vergini suicide è quello che vorrei scrivere. Mi è piaciuto molto il modo in cui Jeffrey [Eugenides] ha raccontato il confronto tra età adulta e giovinezza. Il modo in cui è riuscito a essere divertente nei momenti tragici, e le cose inappropriate che accadono, come il ragazzino che lascia la casa dei Lisbon dopo che Cecilia è morta ringraziando i genitori per la festa. Cose che succedono davvero. È così ben scritto, e l’amore ossessivo è sempre piacevole da leggere. Ho molto amato anche il modo in cui parla di qualcosa che non c’è più, che sia un’epoca, una persona o l’innocenza. Mi è sembrato che capisse quella sensazione che tutti conoscono. […] Mentre leggevo ho percepito che era molto cinematografico – così ho cominciato a scrivere come pensavo dovesse essere realizzato. Ho iniziato come se fosse un esercizio sull’adattamento di un libro in una sceneggiatura. Non programmavo di scriverlo interamente, ma una volta iniziato sono andata avanti. E lo facevo nel mio tempo libero e nei weekend perché non lo consideravo lavoro, così non avevo pressioni, perché nessuno doveva vederlo. […]
Ho messo insieme un libro di riferimenti visivi – fotografie – per mostrare come avrei voluto fare il film. […] Il mio rapporto con la fotografia è iniziato quand’ero ragazzina negli anni Ottanta, guardando riviste di moda. Andavo anche alle fiere d’arte con mia madre, che m’incoraggiò a collezionare fotografie, all’epoca era l’arte più accessibile. A una fiera vidi per la prima volta le fotografie di Bill Owens – la sua serie sulle periferie – così quando ho iniziato a lavorare a Il giardino delle vergini suicide le immagini di Owens sono diventate un punto di riferimento. […] La storia del film è un ricordo, ricreato attraverso istantanee sbiadite. Ho lavorato con Ed Lachman, il direttore della fotografia, mostrandogli attraverso le fotografie come avrei voluto che fosse il film. È il modo in cui inizio ogni film, seduta col direttore della fotografia e con il reparto scenografico, guardando fotografie e spiegando “questo è l’aspetto o la sensazione che vorrei produrre”, così che ciascuno ne sia informato. Per me le immagini sono sempre il punto di partenza.
Sofia Coppola
Leggere Le vergini suicide significa soccombere a un nebuloso sogno a occhi aperti linguistico. Il suo narratore è un pronome collettivo; la sua fine è rivelata nella prima frase. E i suoi personaggi principali sono figure sacramentali e sacrificali, più simili a creature di fantasia o leggenda che ad adolescenti americane. Tutto ciò ha richiesto alla Coppola di creare un lungometraggio essenzialmente senza personaggi o storia, e di mantenere l’interesse dello spettatore attraverso stati d’animo, associazioni e immagini significative. […] Il suo istinto le dice chiaramente che il film non è solo un mezzo visivo ma anche emotivo, ed è ansiosa di affrontare il dolore, la frustrazione e la sofferenza che ribollono sotto la tranquilla opulenza del suo sobborgo incantato.
A.O. Scott