La chimera

(Italia/2023) di Alice Rohrwacher (134')
Cinema del presente
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La chimera

(Italia/2023) di Alice Rohrwacher (134')

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Nel luogo in cui sono cresciuta capitava spesso di ascoltare storie di segreti ritrovamenti, di scavi clandestini e di avventure misteriose. Bastava restare in un bar la sera tardi, o fermarsi in una fraschetta di campagna per sentire di quel tale che col trattore aveva scoperchiato una tomba villanoviana, o dell’altro che scavando di notte vicino alla necropoli aveva rinvenuto una collana d’oro così lunga da poter circondare una casa. Storie di scheletri e fantasmi, di fughe e di oscurità. La vita che mi stava attorno era costituita di più parti: una solare, contemporanea, affaccendata, e una notturna, misteriosa, segreta. C’erano molti strati, e tutti ne facevamo esperienza: bastava scavare per pochi centimetri la terra ed ecco che tra i sassi appariva un frammento di manufatto, fatto da altre mani. Da che epoca mi stava guardando? Bastava recarsi nelle stalle e nelle cantine dei dintorni per rendersi conto che quei luoghi erano stati altro, erano forse tombe etrusche, rifugi d’altre epoche, luoghi sacri. Questa vicinanza tra il sacro e il profano, tra la morte e la vita, che ha caratterizzato tutti gli anni della mia crescita mi ha sempre affascinato e ha dato una misura al mio sguardo. Per questo ho deciso di fare finalmente un film che racconti questa trama stratificata, questo rapporto tra due mondi. […]

La chimera racconta le vicissitudini di una banda di tombaroli, cioè di profanatori di tombe etrusche e rivenditori di oggetti antichi a ricettatori locali. Siamo negli anni Ottanta. Coloro che decidono di diventare tombaroli, di varcare quel tacito confine tra il sacro e il violabile, lo fanno per dare una svolta al passato, per divenire nuovi, altro. Sono indiscussamente uomini, forzuti, giovani, maledetti. Loro non appartengono al passato, non sono figli dei loro padri che sono cresciuti vicino a quelle tombe antiche senza mai violarle. Non sono più cose sacre. L’ingenuità di chi ha seppellito quelle cose li fa ridere. […] Abbiamo lavorato con tre formati di pellicola: il 35mm che si presta all’affresco, all’iconografia, alla grande pagina illustrata che interrompeva i libri di fiabe, il super16mm che ha una densità narrativa e una capacità sintetica senza pari, e che come una scrittura magica riesce a farci entrare direttamente nel cuore dell’azione, e il 16mm rubato da una piccola cinepresa amatoriale, come fossero degli appunti a matita sul bordo di un libro. Nel racconto di La chimera ho provato a intrecciare dei fili molto lontani tra di loro, come in un arazzo d’oriente. Ho provato a giocare con la materia del film, rallentando, accelerando, cantando, dichiarando e ascoltando. Osservando gli uccelli in volo, che per gli etruschi rappresentano il nostro destino. Perché la cosa più importante è, come dentro un caleidoscopio, riuscire a rintracciare nella storia di un uomo la storia degli uomini, e ritrovarci tutti insieme attorno ad un film a chiederci che cosa disgraziata e buffa, che cosa commovente e violenta sia l’umanità.

Alice Rohrwacher







Serata promossa da DoDo
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Film in lingua italiana

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