Palazzina Laf

(Italia/2022) di Michele Riondino (99')
Cinema del presente - Premio Cipputi
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Palazzina Laf

(Italia/2022) di Michele Riondino (99')

Con: Elio Germano e Michele Riondino

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Dopo quello di Paola Cortellesi, ecco un altro notevole esordio alla regia di un attore, Michele Riondino, e la sorpresa può essere solo di chi dimentica che la storia del cinema è ricca di grandi star che hanno dimostrato di saperci fare, e pure molto, anche dietro la macchina da presa, dal Charles Laughton di La morte corre sul fiume alla Barbara Loden di Wanda. Riondino sceglie la strada del realismo, più dramma che commedia, e radica Palazzina Laf nella sua città natale, Taranto, alla fine degli anni Novanta del secolo scorso, quando sembrava che per l’industria siderurgica nazionale potesse esistere un futuro, tanto che gli impianti di Taranto (quelli usciti dalle rovine di Finsider col nome di Ilva laminati piani) furono venduti al gruppo privato Riva. [...] Al centro dell’azione c’è Caterino Lamanna (lo stesso Riondino), operaio alla manutenzione degli altiforni [...] Un atto di favore per un collega (riportargli la patente dimenticata) che diventa infrazione alle regole dello stabilimento, gli fa scoprire che esiste una palazzina – la Laf (perché situata nelle vicinanze del Laminatoio a freddo) – dove sono isolati degli operai che passano le giornate in uffici senza suppellettili o strumenti di lavoro. Praticamente senza fare niente tutta la giornata. E a Caterino sembra un sogno essere trasferito lì, pagato senza lavorare (ma sempre con il suo compito di informatore), senza capire quello che – nella realtà – il giornalista Alessandro Leogrande (a cui il film è dedicato) stava facendo venire a galla: “Ai lavoratori ‘confinati’ non è chiesto di produrre ma di trascorrere le giornate senza fare niente, guardando il soffitto o girandosi i pollici, fino a quando quel lento, prolungato, stato di inazione non diventa una forma estrema di violenza contro la propria mente e il proprio corpo”.

Funziona l’incontro [...] tra una situazione realistica e drammatica e un personaggio da commedia parzialmente inventato (una spia nella palazzina comunque pare proprio che ci fosse) che non vuole capacitarsi del suo ruolo di furbo e insieme ingenuo, di sfruttatore e sfruttato, di carnefice e di vittima. E soprattutto funziona l’idea di un cinema che vuole ancora confrontarsi con la realtà (anche se i fatti raccontati nel film ebbero un loro, definitivo epilogo nel 2006) e che chiede allo spettatore di aprire gli occhi invece di chiuderli o abbassarli.

Paolo Mereghetti


 




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