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Nazione: Italia
Anno: 2016
Durata: 20'
Edizione: 2017
Sezione: Visioni Doc
Scen.: Simona Ghizzoni. F.: Emanuela Zuccalà. M.: Aline Hervè e Paolo Turla. Prod., Distr.: Zona.
Una stanza qualunque, o la capanna buia d’un villaggio. Basta una lametta acquistata al mercato, un coltello affilato o solo un vetro rotto. A volte ago e filo, oppure le spine di un rovo selvatico. Le donne di casa tengono ferma la bambina, mentre un’estranea viene pagata per infliggerle un dolore che non dimenticherà mai.
Per 200 milioni di donne al mondo, il passaggio dall’infanzia all’età adulta è marchiato con il sangue di una mutilazione genitale (MGF). Dalla recisione del clitoride al raschiamento delle piccole labbra, fino alla rimozione di tutti i genitali esterni e a una stretta cucitura che lascia solo un piccolo foro per il flusso mestruale e le urine, da lacerare la prima notte di nozze. È un rito ineluttabile, in certe società, che “purifica” le donne dalla loro stessa femminilità, le sottomette nella sofferenza rendendole vergini a vita, refrattarie al piacere sessuale e dunque – questo è, in genere, il sillogismo - mogli fedeli. Una pratica tradizionale, totalmente slegata – contrariamente a quanto spesso si crede – da qualsiasi religione, che significa subalternità femminile, matrimonio precoce, abbandono scolastico delle ragazze ed esclusione delle donne dalla vita sociale ed economica, in un circolo vizioso di sottosviluppo.
Secondo l’Unicef, le vittime del “taglio” rituale sono 200 milioni, concentrate in 30 Paesi del mondo, 27 dei quali si trovano nel continente africano. Il Parlamento Europeo stima la presenza nella UE di 500mila donne immigrate portatrici di una ferita che comporta gravi conseguenze sanitarie e complessi percorsi d’integrazione.
UNCUT è un cortometraggio-documentario che indaga in profondità il tema delle mutilazioni genitali femminili, raccontando come in tre Paesi africani – Somaliland, Kenya e Etiopia – le donne si siano coalizzate per dire basta a questa pratica crudele, talvolta pagando a caro prezzo il coraggio di alzare la testa nelle loro società profondamente patriarcali. È una storia corale che restituisce testimonianze di dolore, di faticose battaglie per i diritti femminili e, in molti casi, di successo ed emancipazione.
Simona Ghizzoni è nata a Reggio Emilia nel 1977. Dopo aver ottenuto un master in Storia della Fotografia, nel 2006 è stata selezionata per una Reflexions Masterclass tenuta dalla fotografa Giorgia Fiorio e curata da Gabriel Bauret. Nel 2009 viene scelta per la sedicesima World Press Photo – Joop Swart Masterclass. Fin dal 2005 si dedica a progetti a lungo termine sulla condizione della donna. In contemporanea porta avanti un lavoro di ricerca personale dal titolo Rayuela, nel quale esplora la propria femminilità quasi in forma di diario. Tra il 2006 e il 2010 ha trascorso molto tempo in un centro di cura italiano, lavorando su un progetto a lungo termine intitolato Odd Days. Con un’immagine tratta da questa serie si è aggiudicata il terzo posto al World Press Photo del 2008. Con una selezione di fotografie tratte da Odd Days ha vinto anche il Premio Ojodepez per i valori umani nel 2009. Nel 2010 le è stato commissionato un servizio sulle profughe irachene in Giordania, dove ha prodotto il suo primo documentario breve Lie in Wait. Nel 2013 ha diretto il suo primo documentario sulle donne vittime delle sparizioni forzate nei territori del Saharawi, Solo per farti sapere che sono viva, in collaborazione con Emanuela Zuccalà. Con il suo lavoro sulla condizione delle donne vittime dell’operazione Cast Lead nella striscia di Gaza (2010-2013) ha ottenuto il terzo posto nella sezione Contemporary Issues (Tematiche contemporanee) del World Press Photo 2012. Nel 2016 realizza il documentario Uncut, in collaborazione con Emanuela Zuccalà.
Emanuela Zuccalà è nata nel 1972. Dal 2001 è contributor di Io Donna, settimanale del Corriere della Sera, per il quale ha realizzato reportage in oltre 30 Paesi del mondo. Autrice di 7 libri pubblicati in Italia, Europa e Sud America, ha vinto diversi premi giornalistici italiani e internazionali, come il For Diversity-Against Discrimination Award della Commissione Europea (2007), il Premio Giornalistico del Parlamento Europeo (2008), il Premio Enzo Baldoni della Provincia di Milano (2009) e il Press Freedom Award di Reporters Sans Frontières Austria (2012). Il suo film Solo per farti sapere che sono viva (2013), co-diretto con Simona Ghizzoni, è stato finalista all’Aan Korb Documentary Festival della Bbc (Londra, 2014) e premiato al Festival del Cinema italiano di Annecy (Francia, 2014) e al Margaret Mead Film Festival del Museo Americano di Storia Naturale (New York, 2014). Nel 2019 realizza il film Crossing the river, seguito nel 2021 da La scuola nella foresta, in concorso a Visioni Italiane 2021.