Dogman
(Italia/2018) di Matteo Garrone (103')
Dogman
(Italia/2018) di Matteo Garrone (103')
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Chi cerca la morbosità resterà deluso. Dogman è una fiaba nera angosciante, cupissima, in cui il compiacimento è evitato grazie a una dote primaria, che Garrone possiede in sommo grado: il trasporto sensuale per ogni ambiente osservato, fosse pure il più abbrutito; la promiscuità con cui aderisce ai propri personaggi. La cosa sorprendente del film è proprio l’amore del regista per i suoi personaggi, mai guardati dall’alto in basso; a cominciare dal protagonista, che alla fine, nella sua miseria, è quasi un paradossale Cristo di oggi, capro espiatorio di colpe altrui che all’inizio fa in pratica resuscitare un cadavere (non diciamo altro), e che alla fine trascina sulle spalle un peso sovrumano in una specie di via crucis. […] Garrone va oltre ogni rappresentazione sociologica e supera per così dire il realismo estremizzandolo; utilizza il luogo con quella sensibilità da pittore già all’opera in Gomorra, come uno scenario da fantascienza post-apocalittica, di cui sottolinea l’aspetto quasi teatrale con l’uso di piani fissi e inquadrature a figura intera. Non ci sono più storia e politica nel mondo di Dogman, fatto di una violenza primaria, e non ci sono quasi nemmeno donne. Rimane una comunità di relitti, quasi tutti maschi (s’intravede una moglie, e c’è la figlia, unico barlume di umanità), senza altro movente che il denaro e la sopravvivenza personale. Insomma, uomini come noi. Il protagonista ha di diverso questo attaccamento quasi ferino per umani e animali, e la sua vera ferita è l’essere bandito da una comunità, per quanto incarognita e violenta. La regia inchioda in maniera quasi soffocante, aderendo perfettamente al racconto, senza una sola scelta banale e senza esibizionismi. Con il suo sorriso mite e quasi ebete, e con un romanesco parlato con accento calabrese, l’uomo dei cani Marcello Fonte è indimenticabile, è il film stesso. Intorno a lui un coro di personaggi definiti con pochi tocchi, grazie anche a un cast impeccabile: Garrone (non lo si dice mai) è anche un grande direttore d’attori.
Emiliano Morreale
L’incontro con il protagonista del film, Marcello Fonte, con la sua umanità, ha chiarito dentro di me come affrontare una materia così cupa e violenta, e il personaggio che volevo raccontare: un uomo che, nel tentativo di riscattarsi dopo una vita di umiliazioni, si illude di aver liberato non solo se stesso, ma anche il proprio quartiere e forse persino il mondo. Che invece rimane sempre uguale, e quasi indifferente. […] Grazie alle nuove scene inserite credo che Dogman sia finalmente completo e sono felice che possa uscire di nuovo al cinema”.
Matteo Garrone
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Presentando questa cartolina, ingresso ridotto alle mostre Bologna fotografata e Bar Luna
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Chi cerca la morbosità resterà deluso. Dogman è una fiaba nera angosciante, cupissima, in cui il compiacimento è evitato grazie a una dote primaria, che Garrone possiede in sommo grado: il trasporto sensuale per ogni ambiente osservato, fosse pure il più abbrutito; la promiscuità con cui aderisce ai propri personaggi. La cosa sorprendente del film è proprio l’amore del regista per i suoi personaggi, mai guardati dall’alto in basso; a cominciare dal protagonista, che alla fine, nella sua miseria, è quasi un paradossale Cristo di oggi, capro espiatorio di colpe altrui che all’inizio fa in pratica resuscitare un cadavere (non diciamo altro), e che alla fine trascina sulle spalle un peso sovrumano in una specie di via crucis. […] Garrone va oltre ogni rappresentazione sociologica e supera per così dire il realismo estremizzandolo; utilizza il luogo con quella sensibilità da pittore già all’opera in Gomorra, come uno scenario da fantascienza post-apocalittica, di cui sottolinea l’aspetto quasi teatrale con l’uso di piani fissi e inquadrature a figura intera. Non ci sono più storia e politica nel mondo di Dogman, fatto di una violenza primaria, e non ci sono quasi nemmeno donne. Rimane una comunità di relitti, quasi tutti maschi (s’intravede una moglie, e c’è la figlia, unico barlume di umanità), senza altro movente che il denaro e la sopravvivenza personale. Insomma, uomini come noi. Il protagonista ha di diverso questo attaccamento quasi ferino per umani e animali, e la sua vera ferita è l’essere bandito da una comunità, per quanto incarognita e violenta. La regia inchioda in maniera quasi soffocante, aderendo perfettamente al racconto, senza una sola scelta banale e senza esibizionismi. Con il suo sorriso mite e quasi ebete, e con un romanesco parlato con accento calabrese, l’uomo dei cani Marcello Fonte è indimenticabile, è il film stesso. Intorno a lui un coro di personaggi definiti con pochi tocchi, grazie anche a un cast impeccabile: Garrone (non lo si dice mai) è anche un grande direttore d’attori.
Emiliano Morreale
L’incontro con il protagonista del film, Marcello Fonte, con la sua umanità, ha chiarito dentro di me come affrontare una materia così cupa e violenta, e il personaggio che volevo raccontare: un uomo che, nel tentativo di riscattarsi dopo una vita di umiliazioni, si illude di aver liberato non solo se stesso, ma anche il proprio quartiere e forse persino il mondo. Che invece rimane sempre uguale, e quasi indifferente. […] Grazie alle nuove scene inserite credo che Dogman sia finalmente completo e sono felice che possa uscire di nuovo al cinema”.
Matteo Garrone
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Presentando questa cartolina, ingresso ridotto alle mostre Bologna fotografata e Bar Luna