Illusioni perdute
(Illusions perdues, Francia-Belgio/2021) di Xavier Giannoli (144')
Scarica la cartolina
****
Illusioni perdute è un grandioso, disincantato, ironico, sarcastico e appassionato apologo sulla potenza (e sulla falsità) delle parole. È ambientato nella Francia degli anni Venti dell’Ottocento, nell’età della Restaurazione post-napoleonica e post-rivoluzionaria, quando i nostalgici dell’ancien régime riprendono il potere e ristabiliscono finanche l’interdetto sulle relazioni sessuali fra esponenti di classi diverse, ma sembra voler descrivere e raccontare il nostro presente: stesso culto sfrenato del denaro come unica misura di valore, stesse dinamiche di un giornalismo che si nutre di gossip, menzogne e fake news, perfino analoghe dinamiche politiche e di potere. [...]
È davvero impressionante la modernità che Giannoli riesce a ricavare dal già modernissimo e lungimirante romanzo di Balzac, una di quelle opere-monstre (lodata tanto da Proust quanto da Ėjzenštejn) che riescono con uno sforzo immane a restituirci un’immagine credibile della complessità del mondo. Viene in mente l’inarrivabile Barry Lyndon di Stanley Kubrick, seguendo la parabola di ascesa e caduta del vanesio, meschino e ambizioso Lucien (portatore di luce, suggerisce il nome, ma come anche Lucifero…) nel bel mondo della società parigina: entrambi arrivisti e arrampicatori sociali destinati al fallimento, usano gli strumenti del proprio tempo (le armi per Lyndon, le parole per Lucien) per cercare di affermarsi in un mondo che non è il loro (e che in fondo li usa ma non li accetta e non li vuole). Le parole però nella Francia della Restaurazione sono – come tutto – vendibili e comprabili. [...] Che può dire il critico di fronte a questa incontestabile parabola sulla relatività e l’inaffidabilità della critica in un mondo in cui tutto, ma proprio tutto, è in vendita? Non si può dire nulla. Se non prendere atto della potenza di un film che rappresenta la vita come un perenne carnevale, come un gioco di maschere e di rapporti di forza, dove il talento e il merito contano poco o nulla, e vince sempre e solo chi cospira meglio, chi si vende meglio, chi si sa scegliere il padrone o il protettore più potente.
Gianni Canova
Il tema dell’innocenza perduta, dello ‘spreco di sé’, di ciò che c’era di bello e prezioso in sé, mi tocca particolarmente. Questo modo insidioso per cui in un’epoca un certo ambiente porta a rinnegare i propri ideali, i più bei ‘valori’. Così, il giovane poeta idealista di Angoulême finirà a Parigi scrivendo annunci pubblicitari quando avrebbe voluto fare un’opera. È caduto nella trappola del ‘tutto e subito’. Balzac ha visto questi giovani talenti sprecarsi, perdersi in questo specchio per allodole. Ma attenzione: Lucien non è una vittima. Sarebbe troppo facile. Balzac vede anche l’affascinante seduzione di questo ‘nuovo mondo’. Crudeltà e malinconia sono due note che ho voluto far risuonare nel fragore del vortice.
Xavier Giannoli
*****
Presentando questa cartolina, ingresso ridotto alle mostre Bologna fotografata e Bar Luna
****
Illusioni perdute è un grandioso, disincantato, ironico, sarcastico e appassionato apologo sulla potenza (e sulla falsità) delle parole. È ambientato nella Francia degli anni Venti dell’Ottocento, nell’età della Restaurazione post-napoleonica e post-rivoluzionaria, quando i nostalgici dell’ancien régime riprendono il potere e ristabiliscono finanche l’interdetto sulle relazioni sessuali fra esponenti di classi diverse, ma sembra voler descrivere e raccontare il nostro presente: stesso culto sfrenato del denaro come unica misura di valore, stesse dinamiche di un giornalismo che si nutre di gossip, menzogne e fake news, perfino analoghe dinamiche politiche e di potere. [...]
È davvero impressionante la modernità che Giannoli riesce a ricavare dal già modernissimo e lungimirante romanzo di Balzac, una di quelle opere-monstre (lodata tanto da Proust quanto da Ėjzenštejn) che riescono con uno sforzo immane a restituirci un’immagine credibile della complessità del mondo. Viene in mente l’inarrivabile Barry Lyndon di Stanley Kubrick, seguendo la parabola di ascesa e caduta del vanesio, meschino e ambizioso Lucien (portatore di luce, suggerisce il nome, ma come anche Lucifero…) nel bel mondo della società parigina: entrambi arrivisti e arrampicatori sociali destinati al fallimento, usano gli strumenti del proprio tempo (le armi per Lyndon, le parole per Lucien) per cercare di affermarsi in un mondo che non è il loro (e che in fondo li usa ma non li accetta e non li vuole). Le parole però nella Francia della Restaurazione sono – come tutto – vendibili e comprabili. [...] Che può dire il critico di fronte a questa incontestabile parabola sulla relatività e l’inaffidabilità della critica in un mondo in cui tutto, ma proprio tutto, è in vendita? Non si può dire nulla. Se non prendere atto della potenza di un film che rappresenta la vita come un perenne carnevale, come un gioco di maschere e di rapporti di forza, dove il talento e il merito contano poco o nulla, e vince sempre e solo chi cospira meglio, chi si vende meglio, chi si sa scegliere il padrone o il protettore più potente.
Gianni Canova
Il tema dell’innocenza perduta, dello ‘spreco di sé’, di ciò che c’era di bello e prezioso in sé, mi tocca particolarmente. Questo modo insidioso per cui in un’epoca un certo ambiente porta a rinnegare i propri ideali, i più bei ‘valori’. Così, il giovane poeta idealista di Angoulême finirà a Parigi scrivendo annunci pubblicitari quando avrebbe voluto fare un’opera. È caduto nella trappola del ‘tutto e subito’. Balzac ha visto questi giovani talenti sprecarsi, perdersi in questo specchio per allodole. Ma attenzione: Lucien non è una vittima. Sarebbe troppo facile. Balzac vede anche l’affascinante seduzione di questo ‘nuovo mondo’. Crudeltà e malinconia sono due note che ho voluto far risuonare nel fragore del vortice.
Xavier Giannoli
*****
Presentando questa cartolina, ingresso ridotto alle mostre Bologna fotografata e Bar Luna