“Un modello per chiunque si azzardi a fare fantascienza metropolitana dal 1982 a oggi […] Blade Runner è immediatamente riconoscibile anche in un’epoca, la nostra, di ‘cultizzazione’ generale e indiscriminata. […] Dunque, abbiamo un romanzo di Philip K. Dick (uno dei suoi meno noti, tra l’altro), un gruppo di sceneggiatori e disegnatori all’avanguardia, un attore al culmine della fama, un lancio commerciale inadeguato ma stranamente riuscito, un regista proveniente dalla pubblicità, prima che l’espressione ‘regista di spot’ divenisse un insulto […]. Blade Runner si compone di valori plastici, fascino narrativo, estetica avanguardistica, preconizzazione di tendenze sociali e culturali dell’immediato futuro, congegno multigenere (noir, fantascienza, orrorifico, melodrammatico) ma non si dà come mitopoiesi di un singolo realizzatore […]. È un caso, più unico che raro, di film senza autore, o, se vogliamo, ‘pluriautoriale’, che vale per ciò che rappresenta e ha rappresentato agli occhi di ogni singolo spettatore, senza bisogno di altri certificati critici” (Roy Menarini).