Scarica la cartolina della serata
*****
Ho scelto deliberatamente di fare qualcosa che non avevo mai fatto. È stata per me l’opportunità di uscire dalla mia comfort zone. Il film lo richiedeva. Volevo allontanarmi il più possibile dal realismo e avvicinarmi invece a una sorta di rappresentazione teatrale. Ho cercato di ridurre ogni cosa alla sua essenza teatrale, ma facendo in modo che il risultato fosse comunque inequivocabilmente cinema.
Joel Coen
Questo Macbeth ha una abbacinante fotografia di grigio sporco ma luminosa e capace di entrare dentro le intenzioni nascoste, mentre gli attori sono un prodigio di misura e la McDormand si vede che prova dai tempi dell’high school la scena clou del sonnambulismo. Il risultato è magnifico. [...] Gloria quindi a un’ambientazione reale ma non teatrale, mai artificiosa né regale (scenografia di Stefan Dechant), merito anche di attori straordinari: irriconoscibile, tutto interiorizzato, quasi zombie che cammina Denzel Washington al suo top, mentre la Lady dalle mani insanguinate di McDormand è eccezionale per misura, gioca a levare e ottiene il grido anche con un sospiro. La fotografia di Bruno Delbonnel, girotondo di luci e ombre, predilige un buio che diventa misura espressiva, psicologica, cartina di tornasole di questa storia così celebre ed emblematica.
Girato tutto in teatri di posa quasi come i venerdì della prosa della Rai anni Cinquanta, con una fantasia scenografica rigogliosa, questo Macbeth esalta e non tradisce mai il valore morale e materiale della parola, come materia etica e narrativa, quindi è come se ogni frase uscisse al neon dalla bocca degli interpreti, mentre alla colonna sonora c’è Carter Burwell, storico collaboratore dei Coen. Il tutto è barbarico e raffinatissimo, stilizzato e naturalistico, fangoso d’acqua e sentimenti putridi, un calvario agorafobico (“The Guardian”) in cui le corone cadono per terra come di latta perché non valgono in realtà più nulla. Ha detto Coen: “Mi sono avvicinato al Macbeth come ci si avvicina a un dramma criminale degli anni Trenta-Quaranta, ma in modo del tutto naturale, senza farmi sopraffare dai limiti del cinema, come in una sorta di braccio della morte a pianta aperta”. Un bellissimo modo per accompagnare il classico andamento dei luttuosi fatti: “Un testo che attrae i giovani – ha spiegato la Lady – perché spaventoso, fitto, inquietante, gonfio di omicidi, profezie, caos e streghe. Quando ero alle medie ho recitato la scena del sonnambulismo ed è la scena che mi ha convinto a fare l’attrice”.
Il film è nato come un esperimento teatrale, con le prove intorno al tavolo e gli attori che si scambiavano i ruoli. Non c’è sole, non c’è luna, solo le ombre espressioniste che si allungano nelle deserte stanze e nei vampireschi corridoi, tra suoni, gocce, rintocchi che riempiono l’horror delle parole sublimi di Shakespeare nella sua assoluta verità poetica.
Maurizio Porro