Antologia critica

Quello di Fantozzi è uno dei pochi personaggi comici inventato dal cinema e non solo dal cinema negli ultimi decenni. […] In più, Fantozzi è stato anche un personaggio scritto. Personalmente mi sono accostato a Fantozzi attraverso i libri in cui Paolo Villaggio, in brevi e frenetici capitoli, ne raccontava le cento disgrazie. Ne scrissi paragonandolo addirittura a Gogol’, scandalizzando chi allora e ancora ama distinguere tra alto e basso, tra colto e rozzo, tra aristocratico e popolare […]. I film confermarono in pieno il mio interesse. Erano ‘strisce’, come i fumetti a puntate, brevi e fulminanti; erano fatti di sketch che si accumulavano l’uno sull’altro non lasciando il tempo di assimilarli; erano esempi di una comicità degna, appunto, del muto: dove le battute contavano meno delle azioni, […] dove contavano gli oggetti, lo scontro con le cose e con le persone, le dinamiche fisiche, e avevano sempre un finale repentino, spesso imprevedibile. […] Dunque una novità strutturale, narrativa, che piacque molto ai bambini (e questo riesce solo ai comici veramente grandi), e spinse Villaggio a insistere sulle reazioni infantili di Fantozzi. Ma la novità non era solo formale, era nel personaggio. Fantozzi era l’invenzione di un misantropo intelligente che sapeva di appartenere anche lui alla famiglia umana di cui detesta i limiti e i riti. La vocazione distruttiva e a volte suicida, la rivendicazione individualistica di chi crede che a giocar da soli non si perde mai, e la sfiga che ne deriva, la solitudine, l’insicurezza, la paura del mondo. Fantozzi non si fidava del prossimo e stava attento a difendersene, o ad aggredirlo vigliaccamente non appena lo vedeva in difficoltà. Fantozzi è cosciente che c’è chi ha potere e chi no, e di conseguenza striscia di fronte al potere e si accanisce su chi non ce l’ha – una costante del carattere italiano, ha detto qualcuno: umile coi prepotenti, prepotente con gli umili. […] Insomma: Fantozzi è un verme che sa di esserlo… Fantozzi è un cattivo per viltà, ma anche per delusione della società, per paura della società. È stato, in definitiva, la faccia vera di tanti che fanno di tutto per nasconderla, l’ha svelata. Villaggio ha inventato una maschera nostra contemporanea.
Goffredo Fofi, “L’Avvenire”, 17 ottobre 2015


Fantozzi non offre soltanto novanta minuti di quasi irresistibile ‘comicità dell’assurdo’, ma anche qualcosa di più. Talune sequenze come quella della corsa per giungere in tempo a timbrare il cartellino, del veglione di fine d’anno (che ricorda, con più paradosso, una celebre sequenza de Il posto), del campeggio fra i tedeschi, della partita di biliardo, del ristorante giapponese, della avventura sciistica, del colloquio con il “megadirettore galattico” (cioè con il Potere reale), non sono soltanto simpaticamente divertenti e caratterizzate da una ‘vis comica’ decisamente originale […]; sono altresì percorse da una sottili, disincantata, ma non per questo irrilevante vena di angoscia. […] In questo senso Fantozzi ci è parso uno dei pochi ‘film comici’ italiani di questi tempi che giungono anche a graffiare.
Lino Micciché, “Avanti!”, 30 marzo 1975


Fantozzi è un figlio degli anni Sessanta come nascita anagrafica, ma Paolo Villaggio avrebbe tranquillamente potuto inventarlo oggi. La precarietà sarebbe il suo habitat naturale, anche se tecnicamente il ragionier Ugo Fantozzi è un eroe del posto fisso. Villaggio lo creò ispirandosi a un collega, tale Bianchi (sa di nome falso, per non offendere nessuno), che aveva l’ufficio in un sottoscala: ma in realtà Fantozzi e i suoi mostruosi colleghi (Filini, Calboni, la Silvani, il megadirettoregalattico Grand. Uff. Lup. Mann.) sono il parto di un’esperienza globale, il periodo in cui Villaggio lavorò come impiegato all’Italsider di Genova.
Alberto Crespi, “L’Unità”, 29 ottobre 2015


Primo esempio di comicità colta per le masse, legata non ai bisogni primari come Totò, ma alle frustrazioni di un ceto medio da capitalismo misto (e infatti lo amavano molto nei paesi comunisti), il Fracchia/Fantozzi [di Villaggio] era soprattutto privo di ogni possibilità di identificazione come lo erano invece i pur variamente mostruosi personaggi della commedia all’italiana. Lo spettatore ideale di Sordi o Gassman era un po’ Sordi o Gassman lui stesso, li disprezzava e li ammirava, voleva essere come loro o credeva di esserlo. Lo spettatore di Fantozzi era semmai un po’ Calboni o Filini, ma certo le possibilità di riconoscersi in quel mondo non avevano per lui nulla di consolatorio. Niente psicologia, pura etnologia, anzi etologia; ferocia sociologica che voltava felicemente le spalle a ogni realismo, a ogni commedia, a ogni dolceamaro, insomma a molto della nostra tradizione di racconto della piccola borghesia. Villaggio insomma portava nel racconto della piccola borghesia quella vena grottesca e anarchica, di apocalittico qualunquismo, di ribellione anche fisica alle regole della tradizione borghese, che era tipica dei guitti lumpen.
Emiliano Morreale, “Le parole e le cose”, 4 luglio 2017