Gli amori di una bionda di Miloš Forman è un affresco tenero e delicato, triste e gaio nello stesso tempo, del mondo giovanile; un quadro d’ambiente e un ritratto di costume tracciato con sincero e acuto realismo attraverso la messa a fuoco della piccola realtà quotidiana; una vicenda psicologico-sentimentale che per la sua naturalezza e la sua spontaneità si contrappone apertamente alla falsa cornice caramellosa della commedia americana e alla volgarità della neo-pochade all’italiana; un film dolce-amaro spiritoso e intelligente, che esplora con sentita partecipazione il mondo della nuova generazione, i suoi sogni, le sue illusioni, il suo passaggio all’età adulta, spesso brusco e spiacevole.
In un piccolo centro industriale della Cecoslovacchia, oltre duemila ragazze lavorano in una fabbrica di scarpe. In quella grigia cittadina di provincia, ammantata di neve e schiacciata da un cielo perennemente plumbeo, le ore di tempo libero trascorrono vuote e noiose. Il rapporto è di sedici donne per ogni uomo, e le ragazze della fabbrica, sia sul lavoro che nel pensionato che le ospita, non fanno che sognare l’arrivo del principe azzurro, come tutte le ventenni del mondo.
Preoccupato della loro felicità, ma anche del ritmo della produzione che evidentemente risente dei languori e dei sospiri delle giovani operaie, il vecchio capofabbrica, metà paraninfo, interviene presso le autorità militari perché trasferiscano nella cittadina un contingente militare. Ma la zona non ha importanza strategica e invece di giovani e balde reclute arriva sul posto un distaccamento di riservisti quarantenni con ormai tranquille abitudini borghesi, pancetta prominente e scarsa attitudine a fare le ore piccole nelle sale da ballo. […]
Con uno stile vivace e una sincera ispirazione, Forman ha realizzato un’opera lucida e ricca di umanità, mettendo in risalto il desiderio di comunicativa, di affetto, di amore da parte di una generazione ‘irragionevole’ che rifiuta le prediche degli adulti convinta che queste siano motivate soltanto dal pregiudizio, e che alla fine sconta a caro prezzo il fio dei propri colpi di testa, avventati e impulsivi.
(Enzo Natta, “Cineforum”, n. 58-59, ottobre-novembre 1966)
Oggetto del film è la scoperta dell’amore – quello fisico – da parte di una giovane, delle dolcezze e delle fatali amarezze connesse con questo importante momento al quale Lattuada ha dedicato alcune delle sue opere più convincenti. Ma, se le annotazioni psicologiche sono qui tutte molto pertinenti, e l’attenzione del regista è principalmente diretta in questo senso, non bisogna dimenticare come, ancora una volta, il contesto giochi un ruolo fondamentale. Il lavoro, la vita di relazione, i rapporti con l’altro sesso, gli stessi ambienti fisici sono appannati da un tenue ma percettibilissimo e desolante squallore. Il tentativo del dirigente della fabbrica di ovviare alla situazione si inquadra comicamente in quella programmazione socialista che, partendo dall’economia, dovrebbe coinvolgere le scelte più personali. Se indubbia è la sua buona volontà, i risultati appaiono risibili e gettano una patente di incapacità anche sul Compagno Generale, coinvolgendo nella satira l’intoccabile istituzione dell’esercito. I cui componenti-campione sono veramente lontani mille miglia da quelli che l’iconografia e la retorica ci avevano consegnato. I tre reduci (“della Grande Guerra!”, esclama malignamente qualcuno), infatti, sembrano usciti ancora una volta dalla penna di Hašek, tanto Forman non risparmia loro banalità, meschinerie […], viltà e ogni genere di sgradevolezze, aspetto fisico compreso. La sequenza del party, amorevolmente diretto dal manager, sposa queste due differenti ma omogenee realtà di squallore in uno dei più straordinari mélanges di tutto il cinema di Forman, in cui l’ironia dimentica la bonarietà e si fa sarcasmo, travolgendo sotto una sequela di gag incalzanti i piccoli uomini scalpitanti e timorosi per l’approccio con le giovani operaie.
(Paolo Vecchi, Miloš Forman, Il Castoro/La Nuova Italia, Firenze, 1981)
Lo stile di Gli amori di una bionda manifesta delle componenti distintive delle nuove ondate degli anni Sessanta, di cui costituisce uno degli esempi maggiori. In maniera particolare, queste sono riassumibili nell’adozione di uno stile di ripresa documentaristico, nell’impiego di non professionisti in alcuni dei ruoli principali e nel ricorso a modelli narrativi in cui i legami causali nella consecuzione delle azioni vengono allentati. Le riprese del film previdero scenari individuati in una reale cittadina caratterizzata dalla produzione di calzature, nella Boemia settentrionale, e ampio ricorso al personale di fabbrica per i figuranti. Inoltre, le inquadrature di Forman si distinguono per un gusto fenomenologico capace di privilegiare un soggetto in scena indipendentemente dall’azione compiuta, anche nei propri tempi morti. Tale attenzione agli aspetti marginali o poco evidenti della quotidianità si concretizza in una poetica dell’attesa, condivisa da Forman con il suo collaboratore Passer, che in quello stesso anno realizzò uno dei lungometraggi più intensi della nová vlna (la nouvelle vague cecoslovacca), Intimní osvetlení (Illuminazione intima, 1965). Si tratta quasi di una considerazione della noia come meccanismo generativo dell’evento estetico. Allo stesso tempo, questa potenzialità significante delle pause e degli intervalli drammatici offre anche punte di considerevole commozione e intimità, nelle sequenze tra i due giovani protagonisti. Il ricorso ad attori non professionisti si sposa con lo sguardo fenomenologico nella predilezione accordata all’improvvisazione in scena, suprema nelle sequenze della festa e della casa dei genitori di Milda. Questo elemento tipico dei precedenti film di Forman trova qui un ideale punto di equilibrio con l’inserimento di interpreti assai più esperti. In maniera particolare, la coppia principale affianca la giovane esordiente Hana Brejchová, sorella della celebre attrice Jana, e una stella nascente del cinema ceco, Vladimír Pucholt; ma soprattutto nel trio dei riservisti si produce un’inedita amalgama tra attori professionisti e non, grazie all’inserimento dell’eccellente Vladimír Menšík, tra i maggiori talenti comici emersi nel panorama cecoslovacco del dopoguerra. L’allentamento dei legami narrativi comporta l’apertura delle situazioni, sul piano drammatico, e una propensione per il bozzetto, sul piano scenico, capaci di produrre una sensazione di verosimiglianza inedita, di forza dirompente in un contesto sociale asfittico.
Gli amori di una bionda è una comédie des mœurs nella sua volontà di tracciare le incongruenze e le défaillances di una nazione incline ai grandi proclami di ingegneria sociale, ma profondamente conservatrice nella prassi quotidiana e retriva negli istituti familiari. La terza opera di Forman mette a paragone, come già Cerný Petr, una gioventù senza obiettivi con i propri padri intorpiditi: il confronto è perdente per entrambi. La dilatazione dei tempi narrativi e l’attenzione alle anomalie della realtà confluiscono in un registro grottesco raro nella cinematografia nazionale e di grande efficacia comica.
(Francesco Pitassio, Enciclopedia del cinema, Treccani, 2004)