L’editoriale di dicembre

Il programma di dicembre nelle sale della Cineteca

Il Modernissimo ha vinto il Biglietto d’oro, è la monosala italiana che ha venduto più biglietti, 170.000 dal 21 novembre 2023 al 21 novembre 2024, a cui bisogna aggiungere 12.000 spettatori che hanno partecipato a proiezioni e incontri a ingresso libero. È un numero eccezionale, non solo per l’Italia.
Per cinquant’anni abbiamo assistito alle chiusure, che sembravano inarrestabili, delle sale nei centri storici, fenomeno che ha contribuito alla contrazione degli spettatori italiani dai 515 milioni del 1975 ai 70,5 milioni del 2023. Per cinquant’anni si è detto che i cinema nei centri storici erano senza futuro, che bisognava aprire schermi nelle periferie, possibilmente nei centri commerciali, favorendo chi si sposta in auto. Le sale, che dal 1913 agli anni Sessanta, erano state concepite come luoghi straordinari, per accogliere uno spettacolo straordinario, sono diventati spazi anonimi, cubature da allestire serialmente; gli schermi, da grandi, si sono progressivamente ridotti; la proliferazione di tecnologie per il consumo domestico, i palinsesti televisivi prima e le piattaforme poi, la pandemia, hanno ridotto progressivamente il desiderio di vedere un film in sala. Il successo del Modernissimo di Bologna ha un segno opposto e dimostra che la sala cinematografica può avere un futuro, a patto che – e qui
cito Wenders – si verifichino tre condizioni: “deve essere bellissima, dev’essere fatta con amore e deve avere una buona programmazione”. In questi dodici mesi gli apprezzamenti si sono succeduti, ma uno mi è particolarmente caro: al termine di una proiezione di Schermi e Lavagne, un genitore ha detto al figlio di sei anni: “ecco guarda bene, una volta le sale erano così, il cinema era questa cosa qui’. Era il nostro desiderio più profondo fare del Modernissimo un luogo che avesse il dna del cinema del passato, per ritrovare una magia che è parte essenziale dello spettacolo cinematografico. Siamo grati al pubblico, a questa entità anonima e vaga, che invece è molto concreta, costituita com’è da donne e uomini, da esseri umani in carne e ossa, per aver trasformato quest’avventura in un successo nazionale.

Per festeggiare, la commedia
Ci avviciniamo al Natale e, per festeggiare il nostro primo anno, vi proponiamo tra dicembre e gennaio una ventina di commedie romantiche, guidati dalle scelte di una specialista come Paola Cristalli, che nel suo bello studio sulla commedia americana ricorda come, in questi film, ogni tormento si risolve, in un clima quasi magico, con la promessa di una possibile felicità; non caso, quella che può essere considerata come la prima commedia sofisticata della storia del cinema, Erotikon di Mauritz Stiller (1920), aveva come titolo italiano Verso la felicità. Billy Wilder ricordava: “Lubitsch mi ha detto di aver imparato tutto da questo film”. Stiller realizzò in Svezia, con ironia ed empatia, una commedia degli inganni, che si svolge negli ambienti borghesi di Stoccolma, creando personaggi capaci di emozioni profonde quando incontrano l’amore. Ci sono già tutti gli elementi di un genere moderno che si basa sulla parità tra i sessi, la qualità dei dialoghi (delle didascalie, nei film muti), una grande metropoli come scenografia fondamentale un pubblico che si specchia in queste eroine e in queste nuove avventure sentimentali. Nasce in Europa e si afferma a Hollywood a metà degli anni Venti, si trasforma nei decenni, anticipando i cambiamenti della società, rimanendo fedele alle sue regole fondative. Appartengono a questo genere film indimenticabili, che il tempo non ha invecchiato, ma che, per ragioni misteriose, i festival raramente selezionano e che non vincono mai nessun un premio!

2000
Nel programma dello scorso settembre abbiamo inaugurato l’idea di percorrere, grazie ai film, un decennio. Il trionfo di Trump ci spinge a ritornare all’inizio di questo secolo, guidati, questa volta, dalle scelte di un altro critico, Emiliano Morreale. Col crollo delle Torri Gemelle il panorama del cinema americano si fa più difficile, non c’è più un mainstream progressista in cui inserirsi e i generi classici non garantiscono più una presa immediata sul pubblico.
È un cinema ancora da vedere in prospettiva storica e già da riscoprire, quello dei primi anni 2000: ormai lontano dalla nostalgia e dai manierismi, alle prese con un presente difficile. E i registi migliori sono quelli che, nella grande tradizione hollywoodiana, afferrano l’aria del tempo, trasformandola in storie e ritmi. Alcuni film (come Donnie Darko) assumono subito un significato profetico e diventano cult movies. Le innovazioni di Quentin Tarantino mettono in crisi le regole di sceneggiatura e inaugurano un nuovo feticismo cinefilo; i giovani come Paul Thomas Anderson e Christopher Nolan ne approfittano per operazioni già ambiziosissime. Registi affermatisi negli anni Ottanta, come Spike Lee, David Cronenberg e i Coen, fanno decantare, tra le pieghe dei grandi generi, un senso di minaccia, di violenza e d’incertezza morale. Mentre un maestro, ormai anziano, come Clint Eastwood mette in crisi le proprie certezze ideologiche e quelle degli spettatori in apologhi che sono grandi, inquiete metafore.

Omaggio a Miguel Gomes
In occasione dell’uscita italiana di Grand Tour, presentato all’ultimo festival di Cannes, dove ha vinto il premio per la sceneggiatura, ospitiamo al Modernissimo il regista portoghese Miguel Gomes, ex critico cinematografico, autore di cinque corti e sei lungometraggi, una delle figure emergenti del cinema europeo. I suoi film sono stati spesso considerati tra i capolavori dell’anno. Francesco Boille su “Internazionale” ha scritto, a proposito di Tabù, quello che mi pare un bellissimo invito alla retrospettiva, “Non vi spaventate. Lasciate sedimentare lentamente il film, come accadeva per altri sogni anarchici, liberi, come di Fellini o Strade perdute di Lynch. Sono film che hanno bisogno di esser visti e rivisti, magari estrapolando certe sequenze, più oniriche di altre. O più umane di altre. E con il film cosmopolita di Gomes lo spettatore può sognare in maniera potente se non si lascia spaventare dalla lunghezza o dalla sua forma inusitata”.

E poi gli incontri
Oltre a Miguel Gomes, molti saranno gli incontri di dicembre. Segnalo, in particolare, quello con la scrittrice Melania Mazzucco, che ha dedicato il suo ultimo romanzo a una misteriosa e sublime diva del cinema muto italiano, che abbiamo varie volte esplorato al Cinema Ritrovato, Diana Karenne; poi incontreremo Xavier Dolan, che presenterà la versione 35mm, appena ultimata, di Mommy; Mario Martone, che ci porterà nel suo adorato e magico Cilento; Alice Rohrwacher con cui festeggeremo i successi del Modernissimo ascoltando le musiche live del suo gruppo musicale, La Banda del Comitato; Andrea De Sica, figlio di Manuel e nipote di Vittorio, che ci porterà nel mondo dark della sua opera seconda, Non mi uccidere. Concludo con la mostra e lo spettacolo Le foto del babbo che Giorgio Comaschi dedica a suo padre Nino. Per noi il tema della valorizzazione dei fondi archivistici è altrettanto importante dell’acquisizione, della conservazione e della preservazione. Gli scatti di Nino Comaschi, fotoreporter bolognese attivo a Bologna tra i Trenta e i Sessanta, arrivarono in Cineteca alla fine degli anni Novanta. Si tratta di un fondo prezioso di oltre 56.000 negativi. Come mostrarli, come condividerli, in primo luogo, con la nostra comunità cittadina?
Il caso di Nino Comaschi è particolarmente fortunato, perché il figlio è un giornalista, artista, performer, innamorato di Bologna. Giuseppe Savini, storico, appassionato di fotografia, a partire dallo studio del fondo ha scritto un testo esemplare, che, dalle immagini fa scaturire racconti di vita quotidiana, aneddoti che illuminano le foto, che ci fanno entrare negli occhi e nella testa
di Nino Comaschi. Un testo che Giorgio Comaschi ha trasformato in uno spettacolo che ci è sembrato perfetto per avventurarci nel nuovo anno. È un esempio di come delle ‘vecchie foto’ possono prendere vita e farci conoscere, più intimamente, il passato della nostra città. 
Ci vediamo al Modernissimo. Molti auguri di buon anno!

Gian Luca Farinelli

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