La salvaguardia di una cinematografia sommersa
Con oltre quaranta film restaurati al suo attivo, provenienti da Medio Oriente, Africa, Europa dell’Est, Asia, America Latina, il World Cinema Project prosegue la sua missione di sostenere il lavoro svolto dagli archivi di tutto il mondo, in particolare in quelle aree geografiche in cui la mancanza di formazione, investimenti o tecnologia hanno impedito negli anni di salvaguardare adeguatamente il patrimonio cinematografico.
Grazie al World Cinema Project sono tornate alla luce opere diversissime tra loro per epoca e genere – dal film sperimentale Limite, realizzato in Brasile nel 1931 da Mário Peixoto; al cult noir coreano di Kim Ki-Young Hanyo (1960) al film-concerto marocchino Trances (1981). Se in alcuni casi si è trattato di arrestare tempestivamente l’azione del tempo salvaguardando capolavori noti come Memorias del Subdesarrollo di Tomás Gutiérrez Alea (Cuba, 1968), Meghe Dhaka Tara del maestro bengalese Ritwik Ghatak o A Brighter Summer Day di Edward Yang (Taiwan, 1991) – in altri, la missione del World Cinema Project è stata quella di ricostruire filologicamente film esistiti in diverse versioni – come nel caso di Sayat Nova di Sergej Paradžanov (Armenia, 1969) o Chronique des années de braise di Mohammed Lakhdar-Hamina (Algeria, 1975) – o riportare alla luce opere censurate bandite e scomparse per mezzo secolo come l’iraniano Chess of the Wind di Mohamed Reza Aslani (1976).