In ricordo di Goffredo Fofi

Goffredo Fofi è stato un agitatore culturale, prima ancora che studioso, scrittore, critico cinematografico, teatrale, letterario. Ha formato generazioni di studiosi, ricercatori, animatori, artisti, operatori della cultura e del sociale, colmando, con la sua intelligenza, cultura, passione, forza morale e curiosità, il vuoto lasciato dall’Accademia.

Goffredo è stato un insostituibile Maestro: la sua scomparsa segna profondamente un’amplissima comunità, fatta di persone che per molte generazioni si sono riconosciute nella sua voce libera e colta, autonoma e coraggiosa, critica e amorevole. Restano, per tutti, i suoi libri, i suoi interventi, il suo insegnamento. Appunto tra i suoi libri, ricordiamo la fondamentale Avventurosa storia del cinema italiano, curata a quattro mani con Franca Faldini. Fofi era membro del Comitato di programmazione del festival Il Cinema Ritrovato.

Un’avventurosa storia

Ricominciammo insieme l’avventurosa storia. Riprendemmo tra le mani quell‘Avventurosa storia del cinema italiano, opus magnum senza autore e a mille voci, di cui lui era stato architetto, capomastro e muratore, con l’attiva complicità di Franca Faldini. L’avremmo rieditata, noi delle giovani Edizioni Cineteca di Bologna (all’inizio con me c’erano Alessandro Cavazza e Valeria Dalle Donne, più tardi tutto è passato alle cure di Alessandro e Alice Autelitano e Gianluca De Santis), l’avremmo riveduta e ampliata e risospinta indietro, ai primi anni del sonoro. Rieditata, come? In modi poco ortodossi. Facendoci strada tra i materiali eterogenei che ci depositava sulle scrivanie, testimonianze scarabocchiate a mano su foglietti senza data, dattiloscritti velati di polvere e solcati di cancellature e ripensamenti, vecchi testi a stampa ritagliati e incollati col nastro adesivo su fogli A4, note a margine scritte sul bordo pagina delle precedenti edizioni, dieci, venti, trenta righe. Diventammo anche noi, con lui, tagliatori, tessitori, filatori, lucidatori, artigiani del lavoro editoriale – quel lavoro editoriale che solo in quel modo pratico, artigianale, antico gli piaceva davvero. Ne risultarono dei buoni libri, spero, comunque venne rimessa in circolo la linfa d’una memoria poderosa e romanzesca, che molto racconta della storia caotica, vitale, confusa, misera e nobile d’un cinema e d’un paese. Ogni tanto arrivava e si lasciava cadere sulla poltroncina rossa dell’ufficio, il bastone sempre in mano, soste brevi, c’era sempre qualcosa da fare, qualcun altro da vedere, e soprattutto un treno da prendere – negli ultimi tempi, con un’ombra di percezione cupa, mi sembrava, che quei treni prima o poi si sarebbero fermati. Si parlava del più e del meno. Sulle sue accensioni per la meglio gioventù del cinema italiano d’oggidì spesso non eravamo d’accordo, senza che avessi l’ardimento e nemmeno la voglia di discuterne, preferivo ascoltare. Invece una tarda sera d’estate di tanti anni fa, era appena uscito il romanzo d’esordio di Nicola Lagioia, passando accanto al Nettuno, forse lo riaccompagnavo al suo albergo, mi disse “Lo devi assolutamente leggere, lui è il migliore di tutti”. Avrei scoperto che aveva ragione. Di lì a pochi anni scrissi un libro sulla commedia americana, e la pagina di recensione che mi dedicò ancora mi scalda il cuore. Gli interessavano le matrici geografiche, coglieva il senso profondo che ancora avevano nella costruzione culturale e sentimentale di coloro che incontrava, in quell’Italia grande provincia che conosceva così bene. Da qualche parte (non so più dove, purtroppo), con riferimento al mio paese marchigiano d’origine, scrisse: “Alla mia osimana preferita” (dubito ne conoscesse altre). Era generoso e intollerante, savonarola e francescano, entropia e rigore. Un’altra volta, fulminante: “Ricordati sempre che solo i cani hanno un padrone”. Sorrideva, ma era serio. Mi servì quella volta, l’ho ricordato sempre. Grazie, Goffredo, è stato un privilegio e una gioia averti incrociato, in questa vita.

Paola Cristalli