James Dean | il mito

Fenomenologia della Dean Generation

Dal Fondo Calendoli della Cineteca alcuni articoli sulla creazione del mito (pronto-al-consumo) di James Dean e sulle implicazioni sociali di questo fenomeno sugli adolescenti degli anni Cinquanta.

«Povero Jimmy, povero caro». Osservarono la vettura da ogni lato e ad un tratto la bionda diede di gomito alla compagna e le disse: «Ehi, guarda quella macchia, dev’essere sangue. L’altra parve sul punto di svenire. Poi la bionda pagò altri 25 cents di supplemento per salire a bordo dell’auto da corsa schiacciata e rivivere in immaginazione, dietro il volante, la terribile fine di James Dean».
“Oggi”, n. 37, 13 settembre 1956

“Prima ancora che la produzione vedesse un affare nel mantenere desto il ricordo dell’attore scomparso, si mossero le falangi delle ammiratrici. Le ragazze scrissero ai giornali, si riunirono nei clubs dedicati alla memoria dell’idolo, diedero avvio a un movimento che, per la stessa moltitudine dei suoi aderenti, divenne una forza nazionale”.
“Settimo Giorno”, n. 39, 22 settembre 1956

“A due anni di distanza dalla sua tragica morte James Dean ritorna sugli schermi in un film biografico intitolato appunto, La storia di James Dean, prodotto e diretto dagli americani George e Altman”.
“Oggi”, 1957

“Due fanciulle di ottima famiglia, appena ventenni, si erano buttate dal quattordicesimo piano di uno dei sette grattacieli di Amburgo. Fu trovato il diario di una delle due…
Il giorno del secondo anniversario della morte del popolare attore americano e precisamente il 30 settembre del 1957 conteneva la seguente annotazione: «Ci siamo sposate oggi con lui, con il nostro Jimmy, il nostro unico vero amore»”.
“Il tempo del lunedì”, 23 novembre 1959

“Nato alle due dell’8 febbraio 1931, James Dean appartenne a quella generazione di americani che, per una differenza di cinque anni, non fece la guerra: una generazione che si sentì esclusa dal diritto di vantarsi o dolersi di un’avventura storica e che, mortificata dalla retorica nazionale, dovette rammaricarsi di non aver avuto fame né paura.
Parlo della generazione ‘beat’ e ‘beat’ ha un etimo incerto perché può voler dire battuta musicale e anche battersela. Una generazione che incontrò insormontabili difficoltà nell’esprimersi e nel comunicare con la generazione precedente, dalla quale ereditava una particolare disposizione alla nevrosi collettiva, anziché gli svalutati valori che quella cercava di inculcargli”.
“Il Messaggero”, 29 settembre 1975

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