Forman rifiuta la falsificazione, la deformazione della memoria nei confronti del passato. Esclude dalla propria opera gli elementi che potrebbero far credere a un’incertezza generalizzata, a un insieme arbitrario di ricordi. Tuttavia, si crea a poco a poco un divario nel racconto. Per quanto lo svolgimento possa apparire cronologico e spontaneo, resta comunque incredibilmente frammentato, privo di un vero filo conduttore narrativo o aneddotico. E questo poiché Forman compone il suo film di ‘istantanee affettive’. Ovvero parla solo (e senza paura di ripetersi) di cose che conosce e che lo coinvolgono. […]
È significativo che sia Rozier che Forman vengano malamente etichettati come ‘cineasti yé-yé’. Sicuramente lo spirito del tempo attraversa con forza l’opera di entrambi. Sicuramente i rapporti umani alternano confusamente profondità e superficialità. Ma tutte queste costanti scaturiscono da una musica leggera e frivola, la cui eco non dovrebbe durare che il tempo di un ballo. Gli amori di una bionda è guidato da una canzone che non si accontenta più di commentare la storia ma le infonde la sua stessa necessità. Il film acquista allora il suo senso, che sorge dal bagliore passeggero di questa canzone e le si aggrappa fino alle ultime note. Rozier tratta in modo analogo la passeggiata di una ragazza nata sulle note di un tango. E questo conferisce a tali momenti la gravità della freschezza perduta. Il mondo della giovinezza è il più minacciato, “un sorriso è già una salvezza”, una rivincita illusoria sul tempo perduto.
(André Téchiné, “Cahiers du cinéma”, n. 174, gennaio 1966)
Lo chiamano ‘cineasta yé-yé’. Nella scena d’apertura del suo secondo film, una ragazza suona la chitarra e canta con energia effettivamente molto ‘yé-yé’. L’appellativo è giustificato, dunque. Lo chiamano grande umorista, cineasta ironico. Un lungo piano fisso sul viso della ragazza, un non so che di troppo serio nel suo modo impostato nello scandire le sillabe, muove il sorriso. Anche qui, fama meritata. Lo chiamano cineasta realista: e qui, invece, andiamoci piano. Questa scena è un frammento di sogno che s’incolla allo schermo, vi si installa senza pudore, e fa vacillare i nostri pregiudizi. La macchina da presa scivola su una tappezzeria a fiori, scopre una tavola in disordine, silhouettes di ragazze distese sui letti, i loro piedi sul fondo dei letti. Nella penombra, voci che chiacchierano. Mani, visi. Ci siamo. In due inquadrature, Forman ha rovesciato il gioco: dopo la ragazza che dà spettacolo di sé, la ragazza che si nasconde. Dopo la voce troppo sicura e squillante, le confidenze e i sussurri. Dopo l’esibizione, il segreto. […] Gli amori di una bionda è un gioco a nascondino. Precisamente: il contrario d’uno spettacolo. Si vede solo quel che non si dovrebbe vedere. Si dice quel che non si dovrebbe dire, si ascolta quel che non si dovrebbe sentire. Primi piani al teleobiettivo, personaggi ripresi dall’alto e di schiena, sguardi perduti che sembrano ignorare la presenza della cinepresa al punto tale che quasi ci imbarazza essere qui a guardarli. L’universo di Forman esiste tutt’intero nel segno dell’indiscrezione. Un universo pieno di sguardi curiosi, di orecchie indelicate. […] Solo un milieu proletario ha consentito a Forman di procedere in tal modo. Un altro ambito sociale avrebbe infranto sul nascere tanta volontà di svelare, di far luce. Le ipocrisie, le convenzioni, le leggi dell’apparire avrebbero steso un velo nero sul film. Al contrario, Forman cerca nella gente del popolo ciò che Pagnol già vi aveva trovato: un impudico eccesso verbale capace d’arrivare al cuore d’ogni mistero quotidiano. Non è per caso se il cinema dell’intimità è un cinema popolare. Per Forman, l’effimera leggerezza popolare si cristallizza in ricerca profonda: quella di un cinema di poesia dove poco a poco le parole e le forme emergono dalla notte, guidate dal sogno, e vanno incontro alla vita.
(Jean Collet, “Cahiers du cinéma”, n. 176, marzo 1966)
In questo quadro d’ambiente, Forman mantiene egregiamente in equilibrio fra ironia e. dolcezza, non cede al facile bozzetto, evita il racconto strettamente psicologico, puntando soprattutto sulle espressioni genuine, sui gesti, sugli atteggiamenti, sulle emozioni dei protagonisti colti nella loro intima realtà quotidiana.
Per questo, giustamente, si è parlato di identità di vedute con Olmi e Truffaut: un’identità di vedute, che si manifesta non soltanto nel quadro, ma anche nella cornice che completa i caratteri dei protagonisti attraverso un ritratto ambientale fatto di una folla non anonima, ma finemente tratteggiata come il vecchio capofabbrica, i tre riservisti, il padre e la madre del pianista, personaggi di contorno, ma vivi, autentici e tenuti lontano dalla macchietta.
Inoltre il film di Forman è chiaramente indicativo per il suo senso di rottura, per il suo anticonformismo che reagisce all’ottimismo ufficiale del regime senza cadere nella polemica o nella discussione ideologica, per il suo contrapporsi alla idilliaca tematica della felicità della gente semplice prospettata invece dal sovietico A zonzo per Mosca, per il suo clima poetico e dolente che rivela l’esistenza di una sconcertante problematica umana e individuale là dove essa sembrava essere stata assorbita e risolta da ragioni politico-sociali.
Molto brava, una vera antidiva, la esordiente Hana Brejchova (sorella della più celebre Jana, protagonista del Coraggio quotidiano che quest’anno ha vinto la Mostra di Pesaro) nei panni di Katina. Altrettanto spigliato e disinvolto Vladimir Bucholt. il giovane pianista.
(Enzo Natta, “Cineforum”, n. 58-59, ottobre-novembre 1966)
È il racconto deliziosamente semplice e solido del modo in cui una giovane donna in cerca d’amore si lascia conquistare da un pianista la notte in cui si svolge un ballo e poi, rispondendo al suo invito casuale, lo segue a casa sua, a Praga.
Quello che trova – due genitori nervosi, che sgridano e trattano amorevolmente il figlio, considerando i suoi peccatucci romantici come fossero i dispetti di un bambino – fornisce un materiale sorprendente per un finale meravigliosamente buffo intrecciato di teneri tocchi di pathos giovanile.
La cosa notevole del film è la sua sincera inconcludenza – i suoi segnali evidenti, casuali che l’amore è qualcosa che i giovani inseguono perennemente ma non potranno mai veramente trovare. È ottimista – ma realista. E pieno di personaggi adorabili.
I migliori, ovviamente, sono i due giovani, interpretati con naturale ingenuità da Hana Brejchova e Vladimir Pucholt, ma sono divertenti e toccanti anche Milada Jezkova e Josef Sebanek nei ruoli dei genitori del ragazzo, e i tre tizi (non accreditati) riservisti dell’esercito al ballo. Le strategie di questi tre per tentare di rimorchiare tre ragazze della fabbrica, inclusa la bionda del titolo, sono commedia della miglior specie. Si chiama commedia umana. Questo è Gli amori di una bionda.
(Bosley Crowther, “The New York Times”, 27 ottobre 1966)
Alla prima americana al New York Film Festival del 1966 Gli amori di una bionda apparve fin da subito come un evento eccezionale. Non si vedeva Informazione non presentea di tanto innovativo e spontaneo da I quattrocento colpi di Truffaut sette anni prima. Il severissimo Bosley Crowther, critico principale del “New York Times”, si spinse fino a vette di apprezzamento inusuali, descrivendolo come “deliziosamente semplice e solido. Ottimista ma realista. E pieno di personaggi adorabili”.
Di solito quando un film raccoglie tanti consensi, significa che qualcosa non va – che è troppo scontato, troppo sentimentale, troppo impaziente di piacere. Niente di tutto ciò vale per Gli amori di una bionda, che rimane in perfetto equilibrio tra arguta satira sociale e romanticismo adolescenziale, tra cupa disperazione e speranza irrefrenabile. Dopo molte visioni, il film rivela il suo lato più oscuro, il senso di chiusura e ingiustizia che si cela dietro le immagini d’un giovane amore. Eppure, rivederlo non diminuisce il fascino, la sincerità e la grazia della visione di Forman. Gli amori di una bionda seduce con dolcezza come nessun altro film prima di lui, una qualità ironica considerato che il tema principale è la crudeltà della seduzione e le sue conseguenze.
Il film si svolge a Zruc, un paese della provincia cecoslovacca, che Forman introduce con poche rapide inquadrature: una stazione ferroviaria, un caseggiato, una fabbrica di scarpe – quest’ultima ha assunto dozzine di giovani donne, forzate a trasferirsi in quest’area grigia e remota dal governo comunista. Se c’è bisogno di lavoratori per raggiungere la quota imposta dalla programmazione statale, i lavoratori ci saranno, con o senza il loro consenso.
Forman non fa un discorso pesante, moralistico sulla perdita della libertà personale, ma la sensazione di reclusione sociale, di individui sacrificati ai bisogni di un governo invisibile e inaccessibile, caratterizza ogni scena del film. […]
Nel corso dei suoi tre atti, il film si trasforma da satira sociale (ambientata in uno spazio pubblico) a racconto amoroso (confinato nello spazio privato di una camera o di un letto) a dramma d’interni (ambientato nello spazio privato e pubblico di un appartamento di famiglia). Lo spostamento tematico rispecchia quello dell’ambientazione: la prima parte si concentra sulla giovinezza e le sue infinite possibilità; la seconda sull’età adulta e la realizzazione sentimentale; la terza sulla maturità e l’inevitabile delusione. […]
Anche se Forman si diverte delle debolezze dei suoi personaggi, non li mette mai in ridicolo e non li tratta con sufficienza. Nelle mani del talentuoso Miroslav Ondrícek, la macchina da presa accarezza i giovani amanti, li stringe in inquadrature intime, focalizzandosi sulla pelle pallida di Andula e sui suoi occhi tristi. La luce poco contrastata conferisce a tutte le ambientazioni, per quanto lugubri possano essere, una morbidezza dolcemente misteriosa, come se nel mondo potesse esistere un principio di compassione accanto alla crudeltà.
Gli amori di una bionda si muove lungo la sottile linea che divide sogni e illusioni, tanto solidale con le aspirazioni della sua eroina quanto certo che esse non potranno mai realizzarsi appieno. Negli anni successivi della sua carriera, Forman ha continuato ad esplorare questo conflitto – nella sfida tra il giovane Mozart e il vecchio Salieri in Amadeus, ad esempio, o tra gli esploratori della seduzione sessuale e le loro caste vittime in Valmont. Gli amori di questa bionda sono gli amori di tutti noi, tanto necessari quanto impossibili.
(Dave Kehr, www.criterion.com, 11 febbraio 2002)