Numerose attrici rifiutarono il ruolo di Dorothy Vallens, per un motivo o per l’altro. Tuttavia dicevano di adorarlo, e per questo se ne discuteva. Gli attori sono in grado di annusare una porcheria, quando non può funzionare o è disonesta, così come possono apprezzare un ruolo e malgrado ciò non riuscire a interpretarlo. Ho ricevuto alcuni tra i migliori feedback da parte di attori che hanno finito per non partecipare al film: per esempio Helen Mirren è stata davvero di grande aiuto per la sceneggiatura. Fino all’ultimo non conoscevo Isabella Rossellini. Una sera mi capitò d’incontrarla in un ristorante di New York City, e non solo la conobbi, ma scoprii anche che faceva l’attrice. Pensavo che fosse solamente una modella. La fissai, e quando ci ripensai un paio di giorni più tardi mi dissi: “Dovrei offrirla a lei, quella parte”.
David Lynch, in Lynch secondo Lynch, a cura di Chris Rodley, Baldini & Castoldi, Milano 1998
Sempre straordinariamente bella, anche se truccata pesantemente, quasi un fiore velenoso, [Isabella Rossellini] imprime al film la sua presenza carnale e una nudità cruda che lascia vedere le fatiche e le rotondità del corpo; una nudità simile, infatti, a quella di una donna matura segnata dalla maternità e non di una bella donna di trentacinque anni. L’aspetto trascurato della vestaglia, alcuni dettagli dell’ambiente, del comportamento, del modo di vestire accentuano nel film questa impressione, rara al cinema, di sorprendere realmente, spiandola, un’intimità. La sua ‘italianità’ viene usata come un elemento di esotismo: non tanto per il diretto riferimento a un accento o a una comunità d’origine, ma sottolineandone l’aspetto di corpo estraneo al mondo pulitino di Lumberton.
Michel Chion, David Lynch, Lindau, Torino 2000
Nel caso del nudo di Isabella Rossellini, il corpo vien presentato in maniera così sorprendente e ‘altra’ da risultare quasi trasfigurato. Priva di qualsiasi appeal erotico, la Rossellini è mostrata semplicemente come ‘corpo’ o, meglio ancora, come ‘carne’. È la stessa attrice a convalidare questa interpretazione quando afferma, a proposito del suo ruolo in Velluto blu: “Avevo l’impressione di essere un quarto di bue appeso in una macelleria” (J.-J. Bernard, Isabella Rossellini. L’amour du risque, in “Première”, n. 164, novembre 1980). E questo risulta evidente soprattutto nella sequenza i cui la donna appare all’improvviso dall’oscurità, nuda e coperta di lividi, la carnagione quasi grigia.
In Velluto blu il corpo è anche smembrato: l’orecchio mozzato è il vero e proprio motore dell’azione, oltre ad assumere valenze simboliche di notevole portata. L’orecchio, infatti, oltre ad essere il luogo deputato all’udito, è anche la sede degli organi che regolano l’equilibrio; l’orecchio reciso rimanda, quindi, alla vertigine e allo sconvolgimento con i quali Jeffrey dovrà fare i conti nel corso della vicenda.
Riccardo Caccia, David Lynch, Il Castoro, Milano 1993
Vedere Kyle e vedere Jeffrey è stata la stessa cosa. È intelligente e di bell’aspetto, perciò ha successo con le ragazze. È in grado di mantenere vivo il fattore curiosità. Può fare l’ingenuo, l’innocente o l’ossessivo, e al contempo rimanere razionale. Quando si guardano negli occhi certi attori non li si vede pensare. Kyle è uno che pensa, sullo schermo.
Jeffrey mette in connessione mondi diversi. Può guardare nel mondo di Sandy come in quello di Dorothy, ed entrare in quello di Frank. È un idealista. Si comporta come i giovani negli anni Cinquanta, e la cittadina in cui ho girato rappresenta un buon riflesso del clima d’ingenuità dell’epoca.
David Lynch, in Lynch secondo Lynch, a cura di Chris Rodley, Baldini & Castoldi, Milano 1998
Ad eccezione di complici come Jack Nance o Harry Dean Stanton, i due attori più emblematici del cinema di David Lynch sono indubbiamente Kyle MacLachlan e Laura Dern. Lynch conosce Kyle MacLachlan mentre è alla ricerca di un attore sconosciuto per interpretare il ruolo di Paul, il nuovo messia immaginato da Frank Herbert, l’autore di Dune. Originario del nord-ovest degli Stati Uniti, il giovane, appassionato della saga, ha già alle spalle sei anni di teatro, e si rivela una scelta sorprendente – in effetti non somiglia molto al personaggio del romanzo – ma intelligente. È in Velluto blu, e soprattutto nella serie Twin Peaks, dove interpreta in modo geniale l’agente Dale Cooper, che si afferma lo stile peculiare di Kyle MacLachlan. Giovanile e distinto, fintamente ingenuo e in determinate circostanze perverso, MacLachlan incarnerà, fino a quando non scomparirà dall’universo del suo mentore, il doppio ideale di Lynch, al quale somiglia anche fisicamente.
Thierry Jousse, David Lynch, Cahiers du cinéma, Parigi 2010
È riportato da più fonti che Dennis Hopper ti chiamò manifestando l’intenzione di partecipare al film, sostenendo che lui era Frank Booth.
Certo! Mi trovai alle strette, poiché non avevo alcun desiderio di conoscere qualcuno come Frank (Ride). Tuttavia per il film mi serviva una persona del genere. Dennis era Frank; però fortunatamente era anche qualcos’altro, e quindi funzionò alla perfezione.
Frank ripeteva continuamente “cazzo” già in sceneggiatura oppure è stata più un’improvvisazione da parte di Hopper?
Nella sceneggiatura ce n’erano diversi, davvero tanti, ma Dennis ne aggiungeva sempre qualcuno, perché quando entri in una spirale non riesci a trattenerti. Se un attore entra tanto brillantemente nel vivo dell’azione, anche se pronuncia delle battute non previste o non le dice esattamente come sono state scritte, lo fa con sincerità. Per me Dennis rientra in questa categoria.
Lynch secondo Lynch, a cura di Chris Rodley, Baldini & Castoldi, Milano 1998