Le musiche originali di Edmund Meisel sono state ricostruite e riorchestrate da Helmut Imig con la collaborazione di Lothar Prox, eseguite da Deutsches Fimorchester Babelsberg – Musikalische Leitung, sotto la direzione di Helmut Imig.
Anche per altri film, prima e dopo il Potëmkin, si scrivevano dei commenti musicali. Ci sono anche dei casi in cui si giravano film muti in funzione di una determinata musica: in particolare per i film-operetta (per esempio, il Sogno di un valzer di Ludwig Berger, girato sulla musica di Strauss). L’importante, comunque, non è questo. Quello che importa è il modo in cui venne composta la musica del Potëmkin, scritta pressapoco come si lavora oggi a una colonna sonora: o almeno come si dovrebbe sempre lavorare, con amicizia e cordiale collaborazione creativa tra compositore e regista.
Fu quanto avvenne con Meisel, nonostante il breve tempo che gli fu concesso per la composizione e la brevità della mia visita a Berlino nel 1926 per questo scopo. Accettò subito di trascurare la funzione puramente illustrativa comune in quell’epoca (e non in quell’epoca soltanto!) agli accompagnamenti musicali, e di accentuare certi effetti, specialmente nella musica delle macchine, nella scena dell’incontro tra la squadra e la corazzata.
Fu questa la mia unica richiesta categorica: abbandonare l’abituale stile melodico per questa sequenza, fondandosi interamente su un ritmico battere di percussioni, e stabilire inoltre nel punto decisivo, nella musica come nel film, un passaggio repentino a una qualità nuova nella struttura sonora. Fu dunque il Potëmkin che a questo punto si staccò stilisticamente dai limiti del film muto con illustrazione musicale per entrare in una nuova sfera, quella del film sonoro, i cui veri modelli presentano una fusione di immagini musicali e visive, che ne fanno opere fondate su un’unità audiovisiva. E proprio grazie a questi elementi, che anticipano le possibilità compositive del film sonoro, la sequenza dell’incontro con la squadra (che insieme a quella della scalinata di Odessa ebbe all’estero un effetto così travolgente) merita un posto dominante nella storia del cinema. Per me è particolarmente interessante il fatto che la struttura generale del Potëmkin (salto in una qualità nuova) conservasse anche nella musica tutti i suoi elementi patetici: che il salto qualitativo che abbiamo visto nel film si riflettesse anche nell’accompagnamento musicale. Qui il film muto Potëmkin ha qualcosa da insegnare al film sonoro, dimostrando in vari modi come un lavoro, per essere organico, debba essere dominato da un’unica legge di costruzione in tutti i suoi significati, e come, per non essere fuori scena, ma diventare parte organica del film, anche la musica debba non soltanto ispirarsi alle stesse immagini e agli stessi temi, ma anche adeguarsi alle stesse leggi e agli stessi principi fondamentali di composizione. Questo ho potuto ottenere in grado notevole nel mio primo film sonoro, Aleksandr Nevskij. E potei farlo grazie alla collaborazione di un artista brillante e mirabile come Sergej Prokof’ev.
(Sergej Ejzenštejn)
Quando Edmund Meisel morì all’età di trentasei anni, nel 1930, amici e nemici (sì, aveva anche dei nemici) si trovarono d’accordo nel definire un capolavoro la musica da lui composta, da esordiente nel mondo cinematografico, per La corazzata Potëmkin di Ejzenštejn. È a quella creazione che Meisel deve una fama duratura, assurta ad autentica leggenda nella storia del film muto. Scomparso per decenni e riscoperto molto più tardi, l’accompagnamento di Meisel fu spontaneamente considerato una sorta di ‘miracolo nel miracolo’, e confluì organicamente nella geniale creazione di Ejzenštejn fino a diventare una componente indissolubile e insostituibile di quell’esperienza cinematografica. Essa spiega anche come mai la rapida diffusione internazionale del film iniziò proprio a Berlino, dove l’opera fu proiettata per la prima volta all’Apollo-Theater il 29 aprile 1926, quattro mesi dopo la prima al Bol’šoj. Mentre a Mosca il film era stato accompagnato da un’ambiziosa ma convenzionale selezione di brani classici di Beethoven, Cajkovskij e così via, Meisel eseguì personalmente una composizione originale (da lui scritta a tempo di record, in dodici giorni) che si distaccava completamente dagli standard dell’epoca e trasferiva nel cinema un linguaggio sonoro i cui unici precedenti a Berlino erano gli accompagnamenti da lui stesso composti e diretti, a partire dal 1924, per il teatro politico di Erwin Piscator. Piscator e Meisel erano amici anche nella vita, e la loro collaborazione – durata fino alla morte del musicista – aveva richiamato una certa attenzione, sperimentando un’arte applicata piena di ritmi, dissonanze e bruitismi, di citazioni – provenienti soprattutto dal jazz o dalla canzone proletaria – e di montaggio. Che la cronaca della rivoluzione realizzata da Ejzenštejn potesse essere l’occasione per importare nel cinema questo linguaggio sonoro pareva impensabile. L’originalità della sintesi audiovisiva tra questi due ‘stili di scrittura’ emerge chiaramente dal confronto con alcune successive sonorizzazioni del Potëmkin, come il compassato e ampolloso lavoro realizzato nel 1949 da Nikolaj Krjukov o l’accompagnamento di brani sinfonici di Šostakovic predisposto nel 1976 per la cosiddetta ‘edizione giubilare’: le uniche due versioni del film che abbiano avuto diffusione commerciale, senza peraltro mai avvicinarsi alla potenza del montaggio visivo-sonoro di Ejzenštejn e Meisel. Il regista riteneva che un’opera d’arte organica dovesse essere pervasa in ogni suo aspetto – musica compresa – da un unico principio strutturale. E la composizione di Meisel seppe effettivamente porsi al servizio della magistrale economia del dramma cinematografico, creando con quest’ultimo una straordinaria consonanza di ritmo, struttura ed emozione, attestata dalla sapiente preparazione in crescendo delle fasi culminanti di ogni atto, come le celeberrime sequenze della scalinata di Odessa e dell’attacco della corazzata allo squadrone zarista, dalla partecipazione e dall’autentico melos (spesso ispirato a tipiche forme rivoluzionarie) dei brani sul lutto e sulla solidarietà della popolazione e dall’intensità di passaggi poetici come la veduta notturna del porto di Odessa o la guardia di notte a bordo della corazzata.
Appare forse sorprendente, perciò, che la stampa specializzata abbia accompagnato con critiche spesso feroci la successiva produzione di Meisel per il cinema, riducendo il significato complessivo di quell’esordio alla ricetta semplicistica di una ‘musica di rumori’ o di un’esasperata ritmicità e sottovalutando clamorosamente (come fece purtroppo lo stesso Ejzenštejn) la ricchezza dei temi evocati dalla sua opera: giudizio critico oggi seccamente smentito anche dalle conoscenze e analisi nel frattempo accumulatesi riguardo alla straordinaria versatilità del lavoro di Meisel per il pionieristico documentario di Ruttmann Berlino – Sinfonia di una grande città o per l’Ottobre dello stesso Ejzenštejn (precorrendo la minimal music), per la Montagna dell’amore di Arnold Fanck (con risultati compositivi decisamente più maturi rispetto alla partitura per il Potëmkin) o per l’Espresso azzurro di Kozincev e Trauberg. Come ben compendiò Leo Hirsch (nel necrologio di Meisel uscito sul “Berliner Tageblatt” del 15 novembre 1930) a proposito dello sfortunato progetto di Ottobre, la sua era “una musica capace di aderire totalmente al film. Meisel era davvero un musicista che componeva con gli occhi: un vero e proprio – l’unico – compositore cinematografico nato”.
(Lothar Prox, Panzerkreuzer Potemkin. Das Jahr 1905, Stiftung Deutsche Kinematek, Berlino 2005. Traduzione dal tedesco di Marco Cupellaro)
Il mio lavoro di arrangiamento della Corazzata Potëmkin si è ispirato alla logica di fondo di puntare a contemperare due esigenze: da un lato la fedele ‘ricostruzione’ del testo (mantenendone o ripristinandone la forma originaria), dall’altro lo sforzo creativo di realizzare la partitura come potrebbe averla immaginata Meisel. Rispetto a quest’ultimo, ho il vantaggio non solo di disporre di una grande orchestra, ma anche di avere più tempo per aderire al film. Di entrambe le cose cerco di avvalermi allo stesso modo in cui lo avrebbe fatto Meisel.
Questa logica ha precise conseguenze pratiche riguardo al tipo di arrangiamento e di sonorità da raggiungere. Di fronte alla miscela di ruvida disarmonia e di tonalità improntata al folklore, ho aderito fedelmente alla riduzione per piano, sforzandomi al tempo stesso di affrancare Meisel dagli errori di scrittura. Nella scelta degli strumenti ho evitato un eccesso di raffinatezza, badando però a rispettare la coloritura voluta da Meisel, sempre marcata, vigorosa, a volte persino stridula o stravagante. E là dove si rendevano necessarie delle estensioni, ho rigorosamente evitato di scivolare in una creazione personale, ritenendo più prudente cercare di ‘trapiantare’ il materiale preesistente.
(Helmut Imig, Panzerkreuzer Potemkin. Das Jahr 1905, Stiftung Deutsche Kinematek, Berlino 2005. Traduzione dal tedesco di Marco Cupellaro)