Come nei film di Hitchcock che problematizzano territori famigliari, in Velluto blu Jeffrey investiga un crimine e forse un omicidio sperando – così sembra – di scoprire qualcosa di più sulla natura della sua città. Trova un orecchio, e comincia a cercare il crimine commesso, finendo con l’essere sessualmente attratto da Dorothy Vallens, la moglie della vittima rapita. Ma a differenza dei film di Hitchcock, in questo vicinato c’è solo una natura da scoprire per Jeffrey, o meglio una ‘seconda natura’ più orizzontale che verticale che svuota e persino evacua ogni profondità umana e naturale. In questa versione contemporanea di ‘seconda natura’ (in opposizione a Benjamin), non c’è un protendersi nostalgico verso un luogo perduto o un significato nascosto (persino i più oscuri di Hitchcock). Ciò che il debole, semi-conscio Jeffrey infine scopre è che egli stesso non è altro che un meccanismo di riproduzione violenta, una superficie come il velluto blu che muta automaticamente. “Non so se sei un detective o un pervertito”, dice Sandy cogliendo nel segno.
Timothy Corrigan, A Cinema Without Walls. Movis and Culture after Vietnam, Routledge, Londra 1991
Velluto blu è un thriller psicologico ed anche un film noir, con un criminale e dei poliziotti. È un film violento, duro, e la reazione degli spettatori, per la paura o per il disgusto, può essere altrettanto violenta. Ma è proprio questo lo scopo di un film: far sentire e provare qualcosa in modo profondo. Abitudine, questa, che si è ormai persa. Quando un film è forte, potente, le persone reagiscono con la fuga, poiché questa forza le spaventa. […] Io cerco di essere onesto con me stesso e con la realtà, tento di osservare e di mostrare il lato buono dell’umanità, ma anche quello oscuro, perverso. Mi rifiuto di fermarmi alla superficie delle cose.
David Lynch, in David Lynch, “Garage”, n. 17, 2000
Nella prima scena [di Strade perdute], Eddy porta Pete a fare un giro sulla sua Mercedes per scoprire cosa c’è che non va nell’automobile. A un certo punto, un tizio alla guida di una berlina li supera senza motivo; Eddy lo spinge fuori strada e, con l’aiuto delle sue spaventose guardie del corpo, gli dà una lezione: minaccia il tizio con una pistola e poi lo lascia andare, gridandogli di “imparare le fottute regole”. È importante non interpretare in modo errato questa scena, visto che la scioccante comicità del personaggio rischia di ingannarci. Bisogna prendere Eddy sul serio, come qualcuno che tenta disperatamente di mantenere un minimo d’ordine, di far rispettare le “fottute regole” in questo universo altrimenti folle. A questo punto, si è tentati di riabilitare come tutore delle regole persino la figura oscena e al contempo ridicola di Frank in Velluto blu: figure come Eddy, Frank, Bobby Peru (in Cuore Selvaggio) e anche il Barone Harkonnen (in Dune), sono personaggi che rappresentano un’affermazione e un godimento eccessivo ed esuberante della vita, e sono in qualche modo ‘al di là del bene e del male’. Eppure, Eddy e Frank sono allo stesso tempo i tutori della Legge socio-simbolica. Questo è il paradosso; non vengono obbediti come autorità paterne autentiche: sono fisicamente iperattivi, frenetici, esagerati e perciò ridicoli. Nei film di Lynch la legge viene fatta rispettare dal ridicolo agente iperattivo che gode la vita.
[…] Seguendo la dialettica di Jameson, si può sostenere che, ovviamente, il Male in Lynch non è più quella forza sostanziale immediata, opaca, impenetrabile, che sfugge al nostro controllo, ma è ‘mediato’, riflessivo, composto di stereotipi ridicoli; tuttavia, il fascino unico dei film di Lynch risiede nel modo in cui questa riflessività genera la propria ‘immediatezza’ e spontaneità.
Slavoj Žižek, Lynch; il ridicolo sublime, Mimesis, Milano-Udine 2011
Il binomio Velluto blu/Cuore selvaggio polarizza l’asse del bene e del male senza molti tentennamenti. Chi ha interpretato come puramente parodistici i finali dei due film, insistendo sulla disinvoltura psicologica delle opere di Lynch, non ha compreso che il mondo del regista – per quanto angosciato dall’inspiegabile in maniera quasi infantile – poggia su basi molto concrete. In poche parole, Jeffrey e Sandy, o Sailor e Lula, sono i buoni, gli altri sono i cattivi. Evidentemente, a Lynch non interessa impostare un discorso puramente fiabesco, sebbene i richiami alla favolistica e al Mago di Oz non siano casuali: Jeffrey è attirato dall’universo negativo e malato che spia dall’armadio, fino a spingersi nei meandri del buio e, simbolicamente, dell’incesto […]. Lynch non gioca da postmoderno con i luoghi comuni del cinema americano, con il lieto fine o con l’asse dei valori espliciti per sovvertirli dimostrandone la fallacia o l’inautenticità. Egli rifonda, semmai, i ruoli del buono e del cattivo, i poli del bene e del male, le dimensioni del positivo e del negativo. […] In questa fusione suprema di surrealismo e Hollywood, spirito underground e amore per gli anni Cinquanta, pittura in movimento e onirismo diffuso, esiste anche l’occhio dell’autore sull’esistenza del bene e del male.
Roy Menarini, Il cinema di David Lynch, Falsopiano, Alessandria 2002
Il momento clou del confronto di Jeffrey con le forze del male avviene quando l’odiato Booth lo porta in giro in macchina con Dorothy e altri suoi scagnozzi. A un certo punto Booth dice al ragazzo “Tu sei come me” (esattamente come il malvagio Bytes aveva detto al dottor Treves, “Non sei meglio di me”, in The Elephant Man). E lo dice, tra l’altro, guardando negli occhi lo spettatore – che è chiamato direttamente in causa, in modo disturbante e decisamente anti-hollywoodiano –, perché in quel momento la camera riprende il punto di vista di Jeffrey. Poi Frank torna a disturbare Dorothy e Jeffrey reagisce di pancia, sferrando un pugno che, di fatto, dà ragione all’odioso interlocutore. Il gesto non resterà impunito, e il giovane – rischiando la morte – sarà costretto a tornare alla vita normale portando su di sé i segni delle percosse subite, un marchio che peserà sul suo rapporto con i suoi familiari e con Sandy.
Andrea Parlangeli, Da Twin Peaks a Twin Peaks. Piccola guida pratica al mondo di David Lynch, Mimesis, Milano-Udine 2015