È un grande film, valeva proprio la pena farlo ma non incasserà un soldo.
(Harry Hopkins, consigliere di Roosvelt, a Chaplin)
L’uscita in sala del Dittatore rappresentò un evento mediatico senza precedenti: il lancio pubblicitario fu condotto su due piani non solo distinti, ma ideologicamente antitetici. Da un lato la United Artists puntava sull’impegno pacifista di un autore maturo, che con il suo primo film parlato, ma anche il più ambizioso e perfetto, sfidava le dittature e i regimi totalitari. Dall’altro lanciava, all’interno di guide coloratissime, una seconda strategia promozionale destinata esclusivamente a tranquillizzare gli esercenti, attraverso la quale trasformava i simboli dell’ideologia nazista in rassicuranti prodotti commerciali a uso e consumo della famiglia americana. Oltre alle ‘decorazioni a tema’ pensate per le sale – palloncini, stendardi e striscioni con la (finta) svastica, sagome cartonate dei dittatori a grandezza reale – la United Artists proponeva una serie di gadget per bambini, che includeva, tra l’altro, la fascia da braccio e la spilla con la doppia croce, una maschera del Führer e una serie di cartoline olografiche in cui il piccolo ebreo si trasformava nello spietato dittatore, braccio alzato e saluto romano.
(Cecilia Cenciarelli)
Per Il grande dittatore (il suo film più costoso per l’uso monumentale di comparse, per la ricchezza delle scene e dei costumi, per il sonoro), Chaplin si espose al rischio di un fiasco commerciale da due milioni di dollari. Era consapevole del fatto che la maggior parte dei mercati europei avrebbe rifiutato di distribuire il film. In Italia, per esempio, il Minculpop emanò una perentoria disposizione: “Ignorare la pellicola propagandistica dell’ebreo Chaplin”; peraltro, anche la riedizione di Il grande dittatore nel 1961 rimase a lungo in censura: fu avanzata la proposta di tagliare tutte le scene in cui appariva Napaloni/Mussolini, poi ci si limitò a tagliare quelle in cui appariva la moglie del personaggio, per evitare le eventuali reazioni della vedova Mussolini, unica persona vivente fra quelle a cui il film alludeva.
Nonostante le avversità, Il grande dittatore è stato, tra tutti i film di Chaplin, il maggiore successo in termini commerciali. Chaplin aveva colto perfettamente gli stereotipi della rappresentazione del potere: nel film le scene dei raduni o delle parate militari sono costruite tenendo in mente l’iconografia del comizio (l’uomo solo, di spalle e in primo piano, guarda la massa informe); evidente appare anche lo studio dei filmati di propaganda, l’analisi attenta delle pose e della tecnica oratoria di Hitler.
(Anna Fiaccarini)
L’uscita italiana
Le vicende distributive e censorie legate a Il grande dittatore sono indubbiamente tra le più complesse della storia del cinema. In Italia è stato possibile vedere la famosa scena del ballo tra Madame Napaloni (ovvero Rachele Mussolini) e Hynkel solo nel 2002, quando il film è tornato in sala nella versione in cui Chaplin parla con la voce di Oreste Lionello.
Prima di allora, il film era stato assente dagli schermi italiani dal 1973, per quasi trent’anni. A inizio 2016, Il grande dittatore torna nelle sale di prima visione in versione restaurata, integrale e in lingua originale, permettendo finalmente agli spettatori italiani di godere anche di tutte le straordinarie invenzioni linguistiche di questo film. Ovvero, quanto più simile possibile a come lo vide Chaplin quel 15 ottobre 1940 durante la prima proiezione pubblica al Capitol e all’Astor di New York.
(Cecilia Cenciarelli)
Quattro anni. Tanti ne trascorsero tra la prima mondiale di Il grande dittatore (New York, 15 ottobre 1940) e la prima proiezione pubblica italiana del film (Roma, fine ottobre 1944). Il motivo è duplice: economico e, ovviamente, politico. […] È fin troppo ovvio che in Italia la proiezione di un film americano e antinazista come Il grande dittatore, che ridicolizzava non solo il Führer nazista Hitler ma anche l’indiscutibile (ma già non più indiscusso) duce fascista Mussolini, venisse vietata al pubblico dalla censura.
Le armi propagandistiche del regime andarono spuntandosi, invano, in favore di una guerra impopolare, il cui andamento nel luglio 1943 (lo sbarco in Sicilia degli Americani, il primo bombardamento di Roma, poi dichiarata ‘città aperta’) fece perdere la fede tutt’altro che solida degli italiani sulla “immancabile vittoria” e acuì nell’opinione pubblica il senso di ostilità verso il fascismo, provocando rapidamente all’interno delle gerarchie una gravissima crisi, che finì per porre Mussolini in minoranza di fronte al Gran Consiglio del Fascismo, il massimo organo del partito, all’alba dello storico 25 luglio. In questo complesso e travagliato quadro politico, sociale ed economico dell’Italia liberata (da Firenze in giù) si ebbe la spinta alla ripresa della produzione cinematografica nazionale, ripresa che dovette fare i conti dall’estate 1944 (ma anche prima) con il ritorno in massa del cinema americano, bloccato dal Monopolio da quasi sei anni. […]
Tra questi film c’erano anche La febbre dell’oro, uscito a settembre in riedizione sonorizzata, e appunto Il dittatore, che venne proiettato alla fine di ottobre 1944 a Roma (Cinema Corso, Moderno e Splendore) e Firenze, e poi a Napoli e nelle altre città più importanti del Sud (Palermo, Catania, Bari). Lo recensirono, tra gli altri, Carlo Levi, Vladimiro Caioli e Antonio Pietrangeli. Il film di Chaplin, dopo quattro anni, passava così dal divieto assoluto di proiezione alla liberissima proiezione in pubblico.E venne, finalmente, anche per il Nord Italia la Liberazione. La lotta partigiana si era sviluppata soprattutto nell’Italia settentrionale, per effetto dell’andamento delle operazioni belliche. Infranta la ‘linea gotica’, gli Alleati dilagarono nella Val Padana, mentre le città insorgevano contro le forze nazifasciste. Quando l’esercito Alleato giunse nelle regioni settentrionali, le principali città erano già state liberate dalle forze partigiane. Così, dopo la Liberazione (25 aprile 1945), Il dittatore di Chaplin venne proiettato nel maggio 1945 anche nel Nord Italia (Bologna, Venezia, Milano, Torino, Genova).
(Maurizio Graziosi)
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