Il film segna anche l’arrivo, nella banda di Lynch, del compositore Angelo Badalamenti, che fa partire in bellezza i titoli di testa su un bellissimo motivo di strumenti a corda, di lunghezza inusitata nel cinema, una specie di lungo tema sinusoidale in minore, situato tra Brahms e Šostakovič (i temi principali dei film di Lynch sono spesso in minore). […]
Lynch inserisce inoltre nel film una compilation di canzoni degli anni Cinquanta, o di arie country, come quella che dà il titolo al film. […]
Le altre canzoni che si sentono nel film, Candy Color Clown e Love Letters vengono utilizzate anche per il loro testo. Talvolta, si sarebbe quasi tentati di dire che Lynch ha scritto la sceneggiatura ricorrendo a libere associazioni attorno alle loro parole.
Ma il tandem paroliere/compositore Lynch/Badalamenti si afferma con la canzone originale Mysteries of Love, che accompagna, all’inizio in forma strumentale, il racconto del sogno di Sandy, prima di andare a sfumare sulle parole scritte da Lynch e cantate dalla voce di Julee Cruise, nel ballo in cui si dichiarano il loro amore. […] Nelle sue parole semplici tinteggiate da un certo lirismo cosmico, si dispiega tutto il lato sentimentale di Lynch.
Gli speciali effetti sonori di Alan Splet – grugniti, deflagrazioni, sordi rumori ambientali – sono invece molto più ridotti e localizzati che nei primi tre lungometraggi di Lynch. Accompagnano all’inizio la discesa nel mondo brulicante degli insetti, poi le sequenze di immagini-shock in cui Jeffrey rivive le sue terrificanti scoperte. Il resto del tempo, Lynch crea al contrario un mondo normale e pacifico, che non viene turbato da rumori dell’aldilà né dai venti dell’intermondo.
Michel Chion, David Lynch, Lindau, Torino 2000
Isabella Rossellini doveva imparare a cantare Blue Velvet. Avrebbe dovuto eseguirla insieme a un gruppetto locale, così che non suonasse troppo professionale; proprio come in un normalissimo club. […] Così finimmo in studio di registrazione, ma era dolorosamente ovvio che la cosa non funzionava. A quel punto Fred Caruso si voltò verso di me e mi fece: “David, visto che così non va, cosa ne diresti se chiamassi il mio amico Angelo?” […]. Angelo giunse in tutta fretta, ma non ci incontrammo. Isabella alloggiava in un piccolo albergo che aveva una sala per il pianoforte; più o meno alle dieci del mattino Angelo ci andò insieme a Isabella, e cominciarono a darci dentro. Verso mezzogiorno stavamo girando sul retro del Beaumont; ricordo Angelo che scendeva il sentiero mentre io con tutta probabilità ero un po’ seccato, dal momento che stava per arrivare questo tizio di cui Fred diceva che avrebbe fatto e disfatto. Venne da me e mi fece: “Stamane io e Isabella abbiamo inciso un nastro, e questo è il risultato. Dagli un’ascoltata”. Mi infilai le cuffie, e dopo aver ascoltato la registrazione gli dissi: “Angelo, potremmo montarla nel film già così, tanto è bella. È fantastica!”.
David Lynch, in Lynch secondo Lynch, a cura di Chris Rodley, Baldini & Castoldi, Milano 1998
Il regista di Missoula si è rivelato probabilmente l’autore contemporaneo più scaltro nell’utilizzo di musica preesistente. Oltre ad aver rinnovato il mezzo con un approccio al sonoro ricco e sperimentale, Lynch ha infatti trasferito su celluloide le qualità visionarie e oniriche del pop e del rock. Le sue immagini non vengono solamente trasformate dai suoni e dai sentimenti suscitati dalla colonna musicale, ma reinventano a loro volta la musica stessa, distorcendone il senso o complicandone l’ordinario intento emotivo fino a rendere inseparabili le due componenti. In Velluto blu, con sequenze come quella in cui Dean Stockwell canta In Dreams di Roy Orbison, Lynch ha finalmente lasciato libero corso al proprio talento ottenendone effetti stupefacenti.
Chris Rodley, in Lynch secondo Lynch, a cura di Chris Rodley, Baldini & Castoldi, Milano 1998
Questa alleanza tra musica originale e canzoni preesistenti, perfettamente riuscita in Velluto blu, diventerà anch’essa un elemento costitutivo dell’universo del cineasta, e da questo punto di vista è parte integrante del suo stile. Anche la colonna sonora originale del film è una testimonianza di questa fascinazione per gli anni Cinquanta, quando nasce e si afferma il rock’n’roll, ai quali Lynch farà costantemente riferimento, al punto che l’epoca in cui è ambientata l’azione di Velluto blu risulta indeterminabile, oscillando in continuazione tra gli anni Cinquanta e gli anni Ottanta, periodo in cui il film fu realizzato. Questo perché la musica non è semplicemente un elemento di ambientazione e ancor meno un abbellimento decorativo, ma piuttosto l’anima stessa della pellicola, se non la sua struttura profonda: ne sono testimoni le sequenze cantate che – qui come in tutti i film successivi di Lynch – agiscono sia nella dimensione del sogno sia in quella dell’incubo.
Thierry Jousse, David Lynch, Cahiers du cinéma, Parigi 2010