Il giorno della civetta

(Italia-Francia/1968) di Damiano Damiani (107')
Il giorno della civetta

(Italia-Francia/1968) di Damiano Damiani (107')

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Regia: Damiano Damiani. Soggetto: dal romanzo omonimo

di Leonardo Sciascia. Sceneggiatura: Damiano Damiani, Ugo Pirro. Fotografia: Tonino Delli Colli. Montaggio: Nino Baragli. Scenografia: Sergio Canevari. Musica: Giovanni Fusco. Interpreti: Franco Nero (capitano Bellodi), Claudia Cardinale (Rosa Nicolosi), Lee J. Cobb (don Mariano Arena), Gaetano Cimarosa (Zecchinetta), Nehemiah Persoff (Pizzuco), Serge Reggiani (Parrinieddu), Ennio Balbo (primo mafioso al banchetto), Ugo d’Alessio (secondo mafioso al banchetto). Produzione: Luigi Carpentieri ed Ermanno Donati per Panda


– Società per l’Industria Cinematografica, Les Films Corona. Durata: 112’

Per gentile concessione di Compass Film


 


Fondatore disinteressato e involontario di un genere, dopo Quién sabe? Damiani ne inaugura un altro con Il giorno della civetta, che esce nel febbraio del 1968. I termini di confronto, all’epoca, sono due: da una parte il lontano In nome della legge (1949) di Pietro Germi, per verificare quanto sia evoluta la dialettica tra l’uomo di legge venuto dal Nord e il capomafia dotato di un suo contestabile e ambiguo senso dell’onore; dall’altra il recente A ciascuno il suo di Elio Petri (uscito nel febbraio del 1967), che di Sciascia dà una versione più introversa e intellettualizzata. Al suo primo film siciliano sulla mafia, Damiani trova un alter ego nel capita- no Bellodi: non nasconde che il suo è uno sguardo a distanza, che oltre un certo punto non si può spingere. E in cerca di ordine, si affida alla razionalità di una felicissima invenzione di spazi e scenografie: la caserma dei carabinieri opposta al palazzotto di Don Mariano, con i due antagonisti che si spiano al binocolo. Al quarto adattamento letterario, Damiani, che finora era stato cauto e rispettoso dei romanzi portati sullo schermo, con l’aiuto di un professionista come Ugo Pirro elabora profondamente un libro infilmabile, scandito da dialoghi filosofici, più pamphlet che romanzo. Esplicita, con scandalo per il potere dell’epoca, i riferimenti politici alla DC che Sciascia, nel 1961, non poteva mettere nero su bianco. Si sente che vuole far capire, denunciare, scuotere, indignare, ma non con gli strumenti di una saccente lezioncina brechtiana: con le armi del cinema, invece, con personaggi bigger than life, con un senso del racconto che cerca le scene madri come vette di adesione emotiva, ma poi nega il gran finale, la catarsi, il ritorno all’ordine. Bellodi esce di scena fuori campo, e rimangono i mafiosi, inquadrati col grandangolo deformante.


Alberto Pezzotta


Non ci furono difficoltà nel trasporre il libro in film perché Sciascia è uno scrittore che scrive per immagini e per comportamenti. A una psicologia egli attribuisce sempre un comportamento più che una riflessione interna. Quindi ha una base visiva importante, una grande semplicità di struttura e non fa romanzi lunghi, tutte qualità adattissime alla trasposizione cinematografica. Rispetto al libro c’era qualche cambiamento sostanziale, si era evidenziata una parte femminile, che interpretò Claudia Cardinale. Una donna affascinante, deliziosa.


Damiano Damiani

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