Omelia contadina: il nutrimento che viene dalla terra
come opera d’arte

Lunedì 16 novembre ha inaugurato la 26° edizione di Visioni Italiane Omelia contadina, azione cinematografica realizzata a quattro mani dallo street artist francese JR e dalla regista e sceneggiatrice Alice Rohrwacher. L’azione è un rito e un simbolo al contempo: il funerale dell’agricoltura contadina.

Ben presto si svelano i volti degli attori che popolano un set così unico: sono i contadini dell’altopiano dell’Alfina che, quotidianamente, si trovano a fronteggiare quella minaccia costituita dalle monocolture intensive. 

Alice Rohrwacher e JR hanno incontrato il direttore della Cineteca di Bologna, Gian Luca Farinelli, assieme a Emanuele e a Elisa, due dei protagonisti di questa azione collettiva, allo scopo di presentare l’opera e far luce sul significato profondo che essa veicola, non soltanto da un punto di vista artistico (è indubbiamente singolare l’esperienza della creazione così come quella della fruizione) ma anche da un punto di vista propriamente civile. 
“Contadini di tutto il mondo unitevi” è lo slogan ma anche il monito che riecheggia all’interno di questo scambio, in cui convergono tutte le voci di una dimensione corale straordinariamente ricreata. Perché Omelia è un atto di resistenza, resistenza alle dinamiche del potere, quello delle multinazionali quindi dell’agribusiness, ma anche resistenza di una comunità, quella contadina, che lungi dal piegarsi completamente alle leggi di mercato, perpetua il rito, dei cui segreti è detentrice, e lo fa seminando pazientemente un’eredità preziosa, attraverso le generazioni. 

Alla domanda di apertura “che cos’è per voi la campagna?”, Alice risponde:
“Se devo dire che cos’è per me la campagna, direi che è una rete, una rete lanciata, invisibile, e dentro questa rete, che ci protegge, quindi non è una rete che ci ingabbia, è una rete di protezione come quella del circo, e in questa rete da circo, vivono altre persone che lottano e che in qualche modo mi danno continuamente delle cose: il nutrimento che Emanuele produce, mi nutre, il nutrimento che produce Elisa mi nutre. Così ho detto: ma io cosa produco? Cosa posso fare per scambiare questo nutrimento?” 
Eccoci giunti quindi al punto nodale: lo scambio vero, autentico a cui il rito conduce, la creazione di un bene primario che è nutrimento, che è opera d’arte. Il medesimo processo, il medesimo “atto creativo” che, come un afflato vitale, è in grado di determinare fortemente la dimensione del vivere, quindi dell’operare in rete. Per inciso, nel corso dell’incontro, viene anche prontamente sfatato il mito del lavoro nei campi come lavoro necessariamente solitario: è vero piuttosto il contrario. 

Sottolinea Elisa: “L’agricoltura è un lavoro anche collettivo. Nell’agricoltura serve socialità, serve confronto e quindi nasce l’esigenza di mettersi insieme con altri agricoltori, con altri amici, con altri protagonisti del territorio.”

Grazie a tale prospettiva è più facile intercettare le analogie tra la dimensione (quindi le dinamiche ad essa riconducibili) del lavoro agricolo e quella del lavoro cinematografico, e artistico più in generale, così come appare più semplice, più naturale, ridimensionare una distanza insensata tra due scenari che a lungo, forse troppo, si sono conservati e riproposti ad ogni occasione come incomunicabili all’interno del nostro immaginario. Da questo connubio possibile, anzi, già in essere, stupisce la capacità dell’uno di raccontare l’altro, l’autenticità e la forza con cui l’uno si esprime grazie e attraverso l’altro: e l’immagine a cui Alice e JR danno vitalità e consistenza è un’immagine che sfiora e che colpisce; ben lungi dal coinvolgere una comunità circoscritta di interlocutori, essa ha valore di universalità. 

JR, nel corso dell’incontro, risponde in maniera molto semplice e concisa all’interrogativo, legittimo, di Alice: “Cosa posso fare per scambiare questo nutrimento?”. 

Lo street artist francese delinea l’idea di “un’azione che continua dopo il film”: Omelia contadina è la prima testimonianza di un progetto più ampio che vuole toccare moltissime realtà geografiche, quindi umane, collegate da un filo invisibile ma che non per questo sfugge alla nostra attenzione. Il progetto è un’azione artistica che parte dalla necessità di interrogarsi e che intende unire, non dividere; l’unione non è soltanto quella tra artisti e contadini, ma è anche quella tra comunità diverse, tra chi si confronta quotidianamente con una difficoltà che si traduce in atto di r-esistenza, e chi invece si colloca al di fuori di questa cornice. 
Se è vero che “nell’azione arriva la questione”, non resta che augurarci che essa possa, viaggiando oltre confine, ridestare un antico senso di appartenenza, l’amore per un rito, che ci sembra costituire oggi la nostra più autentica speranza. 

Alice Merighi

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