L’editoriale di aprile

Il programma di aprile nelle sale della Cineteca

Dafoe

La stagione 2023-24 è stata quella delle attrici e degli attori. In primo luogo perché abbiamo assistito a performance che resteranno nella memoria collettiva: l’apparizione di Lily Gladstone nell’ultimo Scorsese, l’Emma Stone (anche co-produttrice) di Povere creature!, Sandra Hüller, capace nella stessa stagione di essere la moglie connivente e borghese del carnefice di Auschwitz in La zona d’interesse e la colpevole/innocente di Anatomia di una caduta, due film in cui parla correntemente tre lingue diverse. E poi la conferma di Paul Giamatti, che si trasforma nell’odioso/adorabile professor Paul Hunham di The Holdovers e i due meravigliosi protagonisti di Io capitano che, pur non avendo mai recitato, interpretano magistralmente il calvario di un intero continente. Ma gli attori e le attrici hanno anche diretto alcuni dei film più significativi dell’anno, basti pensare a Greta Gerwig e a Paola Cortellesi, i due primi incassi del botteghino italiano. È qualcosa di epocale, come se le attrici (ma anche gli attori, penso a Bradley Cooper, all’esordio di Michele Riondino, ad Albanese) possedessero un segreto che spesso i registi sembrano aver smarrito, quello di sapere parlare al pubblico. Abbiamo chiuso il programma di marzo con la visita, inattesa, al Modernissimo di Gael García Bernal. Abbiamo a lungo sperato che ad aprile fosse con noi Willem Dafoe, attore dalla carriera prodigiosa, dalla quale ci siamo divertiti a scegliere nove prove memorabili, dall’esordio di The Loveless (1981) a oggi. Non è stato facile, perché tutte le sue interpretazioni sono miracolose, anche quelle nei film meno riusciti. Spacciatore per Schrader, Cristo per Scorsese, il dott. Baxter per Lanthimos, il sergente Elias Grodin per Stone, van Gogh per Schnabel, Bobby Peru per Lynch, Pasolini per Abel Ferrara… come tutti i grandi interpreti, Dafoe è molto più di un attore, diventando un coautore dei suoi film. Curioso nella scelta di registi indipendenti, anche fuori da Hollywood, riluce di un’intensità, di un fuoco, che arriva direttamente agli spettatori, aggiungendo negli anni un’ironia sottile. Purtroppo gli impegni di lavoro gli impediscono per il momento di visitare il Modernissimo. Ci consoleremo vedendo o rivedendo i suoi film.
 

Ascaride/Guédiguian

E la festa continua! è il titolo del nuovo film di Robert Guédiguian. Forse nessun autore contemporaneo è stato così fedele allo stesso gruppo di attori: la musa-compagna Ariane Ascaride innanzi tutto, ma anche Jean-Pierre Darroussin e Gérard Meylan. Vederli di nuovo assieme, anche se non siamo mai stati nella loro Marsiglia, ci fa sentire a casa, e ancora una volta questi artisti riescono, a partire da una storia che sembra soltanto locale, a dirci di un presente che ci riguarda tutti. La tradizionale selezione di Rendez-vous ci porta, oltre agli ultimi film di Quentin Dupieux e di Cédric Kahn, diverse opere prime significative, come quella di Léa Domenach, che dirige un’inedita Deneuve in commedia, e quella di Jean-Baptiste Durand, premiato come miglior esordiente ai César insieme al suo interprete Raphaël Quenard. Anche gli altri due film in programma ruotano attorno alla forza delle magnifiche interpreti, Hafsia Herzi (già premio Mastroianni a Venezia per Cous cous) e Virginie Efira, protagoniste rispettivamente di Le Ravissement o Rien à perdre, esordio di Delphine Deloget.

Visconti

Alla Francia e in particolare a Renoir – al realismo di Toni, alla poesia e all’incanto sospeso di Partie de campagne –, deve molto il primo Visconti. Nel programma di aprile mostriamo la prima parte della sua filmografia, da Ossessione a Rocco e i suoi fratelli. L’occasione è la pubblicazione per le nostre edizione del carteggio di Visconti, dal 1920 al 1961, una bella occasione per conoscere meglio un autore fondamentale in un volume che ci mostra anche come il mondo predigitale fosse in perenne comunicazione epistolare.

Pacifisti!

Non avremmo mai pensato che la pace tornasse a essere una questione così vicina e di così bruciante attualità. Il nostro film del mese è L’arpa birmana, capolavoro dimenticato che a inizio anni Cinquanta, insieme ai lavori di Ozu, Mizoguchi e Kurosawa, contribuì a far conoscere agli spettatori occidentali la grandezza del cinema giapponese. È un’opera-chiave per il cinema moderno, perché è una delle prime a usare la musica come protagonista e, dieci anni dopo Hiroshima e Nagasaki, ha il coraggio di interrogarsi sulla disumanità della guerra. Intorno a questo film, nel mese in cui celebriamo la Liberazione dal nazifascismo, proponiamo opere che parlano del valore della pace, a partire da Maudite soit la guerre di Alfred Machin, realizzato nel 1914. Oltre a capolavori come Il grande dittatore, Il dottor Stranamore e M.A.S.H., che attraverso la parodia svelano dall’interno l’insensatezza di ogni conflitto, proponiamo due opere rare all’interno delle filmografie di maestri come John Ford ed Ernst Lubitsch: L’ultima gioia e L’uomo che ho ucciso. Due film profondamente umani che rivelano la volontà dei loro autori di scongiurare in anni cruciali (siamo a cavallo fra i Venti e i Trenta) l’eventualità di un secondo conflitto mondiale.

Mi piace chiudere su due appuntamenti che ritorneranno nei prossimi mesi: Era meglio il libro?, organizzato assieme al Settore Biblioteche e Welfare culturale di Bologna, per vedere film che hanno cercato l’impossibile, ovvero trasporre i capolavori della letteratura sullo schermo, e Nascita di una nazione europea, in cui autorevoli storici ci guideranno, con l’aiuto dei film e della letteratura, attraverso i passaggi chiave della storia del nostro continente.

Gian Luca Farinelli