Descrizione
Roger Deakins è un maestro della fotografia per il cinema con due Premi Oscar nel suo palmarès e 15 nomination. Ha dato luce e colore a decine di capolavori hollywoodiani, divenendo collaboratore imprescindibile per autori come i fratelli Coen, Sam Mendes, Denis Villeneuve.
“Non sono un fotografo professionista, e non pretenderò di esserlo in questa fase della mia carriera. Da quasi mezzo secolo faccio con piacere il direttore della fotografia, e per tutti questi anni ho lavorato sia a documentari, sia a una settantina di film a soggetto. Ma nel Devon dei primi anni Sessanta in cui sono cresciuto vedevo i film da semplice spettatore, come una cosa lontana dalla mia realtà. Da adolescente, poiché sapevo soprattutto cosa non volevo fare nella vita, me ne andai da casa per frequentare la scuola d’arte. Forse a spingermi fu l’amore per la pittura, ma è molto più probabile che volessi sottrarmi alla vita cui sembravo destinato. Come che sia, alla Bath Academy of Art maturai la mia passione per la cattura delle immagini con l’obiettivo piuttosto che con il pennello. Nei fine settimana ero solito fare l’autostop fino a Bristol, dove esploravo le vie della città, o fino a Bournemouth o Weston-super-Mare, dove mi capitava di dormire in spiaggia per non perdere le prime luci del mattino. Sognavo già una carriera da fotografo quando una conversazione casuale con un compagno di studi mi spinse a guardare in un’altra direzione. Il cinema mi era sempre piaciuto, ma prima di scoprire che nel 1971 sarebbero iniziati i primi corsi della National Film School non l’avevo mai considerato uno sbocco professionale.
Il caso volle che dopo gli studi alla Bath Academy of Art mi vedessi offrire un lavoro da fotografo al Beaford Arts Centre, nel North Devon. Il mio compito era semplice: ritrarre la vita di quei posti, nell’ottica di esporre le fotografie nelle vetrine dei negozi o nelle sale comunali. Credo che il tempo trascorso a vagabondare per le strade del North Devon abbia svolto un ruolo fondamentale nella mia formazione di documentarista, e non solo perché fece curriculum quando si trattò di ripresentare domanda alla National Film School. Ho spesso ripensato a quelle immagini di cinquant’anni fa e sono felice di poterne riprodurre alcune per questa raccolta. Il mio legame sentimentale con il Sud Ovest dell’Inghilterra si riflette nella serie successiva di fotografie, molte delle quali risalgono a periodi più recenti che corrispondono a momenti di pausa tra un film
e l’altro. (…)
La fotografia è rimasta uno dei miei pochi hobby, ma è soprattutto un pretesto per fare lunghe camminate, con la macchina fotografica in spalla e senz’altro scopo che non sia quello di osservare. Alcuni scatti di questa raccolta risalgono ai viaggi fatti con mia moglie James: è il caso delle foto realizzate a Rapa Nui, in Nuova Zelanda e in Australia. Altre, come quelle di Berlino e Budapest, ritraggono cose che mi hanno colpito mentre ‘camminavo’, nel fine settimana o a fine giornata, quando ero impegnato in un film in quelle città. Durante la lavorazione di Sicario nel Nuovo Messico ero solito sfruttare le ultime luci del giorno per rubare qualche altra immagine con la macchina fotografica. Oppure a volte prendevo l’auto e tornavo nello stesso punto delle riprese, dove aspettavo che un temporale serale producesse l’immagine che aveva preso forma nella mia mente, come quella del fulmine. La foto di Salisbury Plain al crepuscolo è stata scattata alla fine di una giornata di sopralluoghi per 1917, e l’albero solitario appare nelle ultime inquadrature del film.
Scegliere quando fare una fotografia e capire quali scatti abbiano un futuro rivela qualcosa di noi. Ciascuno vede le cose in maniera diversa. Siamo attratti da soggetti con cui siamo in sintonia, e le nostre interpretazioni variano in base alla scelta dell’angolazione e della composizione. Senza una spiegazione particolareggiata del come e del perché è stata fatta, una foto può avere lo stesso significato per lo spettatore e per il fotografo? Sapere che la foto dell’aquila è stata scattata in Romania e raffigura una statua che veglia su una tomba di guerra tedesca non può non cambiare il rapporto tra fotografo e spettatore. Forse una fotografia dovrebbe esistere autonomamente, compiuta in se stessa. Così mi piace pensare di queste immagini.”
Prodotta dalla Cineteca di Bologna
In collaborazione con Fondazione MAST e la casa editrice Damiani.