L’editoriale di settembre

Il programma di settembre nelle sale della Cineteca

Ecco che comincia l’avventura della prima stagione del Modernissimo! Finalmente completate la pensilina per l’accesso, la sala cinematografica e la galleria espositiva, il Modernissimo è ora la metropolitana della cultura, definizione di Alessandro Bergonzoni, che corre sotto la via Emilia, all’altezza dei resti della città romana.

La stagione 24/25 inizia con Alice Rohrwacher, con l’integrale dei suoi film – compresa la recentissima Allégorie citadine, realizzata a quattro mani con JR – e con la riapertura della sua emozionante esposizione Bar Luna. Esporre il cinema è difficile, Alice è riuscita a rendere visibile la sua poetica in una mostra, riuscendo a creare nel Bar Luna uno spazio fisico e poetico, sotterraneo e lunare, familiare e giocoso, libero e sapiente. Sarà un’esperienza stereofonica vedere i suoi film – lei stessa ha voluto abbinare a ogni suo lungometraggio i suoi corti – e poter visitare il Bar Luna, immergendosi nell’arte di questa autrice così unica e preziosa.

Il 12 settembre ricorrono i sessant’anni dalla prima proiezione, al Supercinema di Firenze, di quello che avrebbe dovuto essere solo un film di serie C, firmato da uno sconosciuto Bob Robertson e che, invece, è diventato un monumento della storia del cinema. Per un pugno di dollari si conquistò, giorno dopo giorno, un pubblico vastissimo, impose un genere, il western spaghetti, che avrebbe fatto diventare l’industria cinematografica italiana la seconda al mondo. Sergio Leone aveva trentaquattro anni, una carriera da aiuto regista, un esordio, Il colosso di Rodi, che lo aveva portato in un vicolo cieco. Fu la visione in un cinema romano di La sfida del samurai, distribuito in Italia dopo la presentazione alla Mostra di Venezia, dove Mifune ottenne la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile, che gli fece balenare la possibilità di trasformarlo in un western.

Leone, che aveva adorato I sette samurai, conosceva bene il successo che John Sturges nel 1960 aveva ottenuto con il remake in chiave western del capolavoro di Kurosawa, I magnifici sette, e capì immediatamente che La sfida del samurai sarebbe potuto diventare un western a basso costo, perché la gran parte delle scene si potevano svolgere in un’unica location. Leone studiò il film di Kurosawa inquadratura per inquadratura e ne trasse una copia fedelissima. La storia dell’arte è fatta di intuizioni e di una continua trasmissione da un autore all’altro. Quello che riesce a Leone è però qualcosa che solo i grandissimi artisti possono fare, perché Per un pugno deve tutto al suo originale ma, nello stesso tempo, ne è completamente diverso, per le infinite variazioni e invenzioni che lo trasformano nell’archetipo della nuova stagione del western. Un film che cambiò la vita di Leone, quella di Eastwood e quella di Morricone.

Ora i due film esistono in versioni restaurate e ci è parso il momento di presentarli assieme, al pubblico del Modernissimo e delle sale italiane.

Tim Burton riparte dal suo primo successo planetario, Beetlejuice, omaggia l’horror italiano e il suo pioniere, Mario Bava, girando un’intera sequenza di Beetlejuice Beetlejuice in italiano e ritrovando l’ironia e la felicità creativa dei suoi tempi migliori. Al Lumière programmiamo il film di Burton in versione originale e al Modernissimo lo omaggiamo con i suoi corti e con tre, godibilissimi, horror di Bava.

Non potevamo non ricordare Alain Delon e abbiamo pensato di farci aiutare da un autore molto vicino a Sergio Leone, Jean-Pierre Melville, che sul finale dei Sessanta intuì un nuovo percorso artistico nella carriera di Delon, già star del cinema d’autore italiano e del cinema popolare francese, capendo che la sua bellezza, così perfetta, così archetipica, lo rendevano un ideale protagonista del polar postmoderno che Melville stava realizzando. Frank Costello faccia d’angelo, I senza nome, Notte sulla città cambiarono per sempre la carriera di Delon e il film di Duccio Tessari Tony Arzenta, che abbiamo aggiunto all’omaggio, è un bel contributo alla definizione del nuovo Delon, lontano anni luce da quel ragazzo che, appena dieci anni prima, Visconti aveva forgiato.

Il cinema è una formidabile macchina del tempo, da questo programma di settembre anche la nostra sala, il Modernissimo, che è uno spazio che attraversa la storia, diventerà una macchina del tempo. Da settembre in poi, ogni mese, dedicheremo la programmazione di un sabato a un’epoca precisa. Iniziamo con Modernissimi ’60: per un’intera giornata entrare al Modernissimo significherà varcare i confini del tempo e ritrovarsi nel decennio di maggiore trasformazione del secolo scorso, i Sessanta.

Il bellissimo film di Valeria Golino L’arte della gioia ci ha suggerito l’urgenza di un festival dedicato a Goliarda Sapienza, che ci restituisse il genio e la carica di rivolta delle sue opere, attraverso alcune sue interpretazioni, i documentari a lei dedicati, la ripresa dello spettacolo di Martone e Di Majo tratto da Il filo di mezzogiorno, Il porto delle nebbie, omaggiato in Io, Jean Gabin, oltre a letture, incontri, approfondimenti. È l’omaggio a un’artista tanto grande, quanto, in vita, lasciata ai margini da un sistema editoriale italiano che è stato obbligato a riconoscerla dopo il successo ottenuto in Francia da L’arte della gioia.

Il mercato è spesso ingiusto, chiudo con un caso esemplare, un film uscito lo scorso giugno e passato inosservato, Racconto di due stagioni, uno dei film più significativi degli ultimi anni, giustamente premiato a Cannes per la migliore interpretazione femminile (Merve Dizdar); lo riprendiamo nel nostro programma, se potete andatelo a vedere, sarete sorpresi dall’intensità del cinema Nuri Bilge Ceylan, a cui dedichiamo un piccolo omaggio: è uno dei più grandi maestri del cinema contemporaneo, capace di svelare la profondità del reale.

Buone visioni Modernissime!

Gian Luca Farinelli

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