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È quasi impossibile parlare di
Babylon senza partire dal finale. Manny, dopo aver lasciato Hollywood tanti anni prima, decide di entrare in un cinema nel 1952 e vedere
Cantando sotto la pioggia. I tempi sono cambiati, i suoi vecchi amici e colleghi sono morti tragicamente, la bella vita è un ricordo lontano. Ma la storia del cinema continua. All’improvviso, infatti, mentre il protagonista è seduto in sala, Damien Chazelle fa partire un vorticoso montaggio di immagini tratte da film di tutti i tempi (anche quelli che devono ancora arrivare): si va dalla cronofotografia di Eadweard Muybridge ad
Avatar, dalle avanguardie storiche a
Matrix. Tutto si trasforma, nulla si distrugge. Chi è che sogna? Una premonizione di Manny o il lucido coma di noi spettatori del Ventunesimo secolo? Nelle tre ore precedenti, l’autore americano ha costruito un progetto paradossale di film bigger than life, come quelli che si facevano a Hollywood negli anni Venti, che parla (facendolo) di come quel cinema non potesse sopravvivere al suo titanismo. Un kolossal ad alto rischio industriale che parla di un’industria che collassa: ci vuole coraggio. E oggi? Come è possibile girare
Babylon nell’era delle piattaforme e dei blockbuster in digitale? Per Chazelle si tratta di non avere paura di niente: si raccontano (a rotta di collo) divismo, produzione, immaginario, droga, alcolismo, crimine, debiti, razzismo, jazz, sesso, patriarcato, capitalismo, marxismo, gender, generi, muto e sonoro, bianco e nero e colore, tutto in un solo contenitore. Non bastasse, è anche la storia straziante di un amore non corrisposto. Il messicano whitewashed non può davvero puntare al cuore della bellissima e incontrollabile Nelly perché è troppo bella per lui, o forse per le sue origini. Romance negato.
Babylon vive in qualche landa a metà strada tra Josef von Sternberg,
That’s Entertainment e
L’altra faccia del vento di Orson Welles. E rivendica lo sperimentalismo americano di massa, arte dell’immagine che oggi si fatica a intravedere.
Roy Menarini
Se vuoi raccontare una storia d’ampio respiro, una grande storia su Hollywood e le sue origini, devi includere gli alti e i bassi, il bello e il brutto. Perché, secondo me, ciò che rende Hollywood così affascinante è la coesistenza di questi due elementi, a volte persino nella stessa inquadratura. Insomma, limitarsi a condannare o celebrare Hollywood significa, a mio parere, lasciarsi sfuggire una parte importante del quadro complessivo.
Damien Chazelle
(In caso di pioggia, la proiezione si sposterà al Cinema Modernissimo)
Serata promossa da
Tper