Dopo Steven Spielberg, anche Sam Mendes firma la sua lettera d’amore al cinema attingendo alle proprie memorie personali. Rievoca i primi anni Ottanta, quelli della sua adolescenza, che hanno coinciso, in Gran Bretagna, con un periodo di recessione, disoccupazione e controverse politiche razziali. E s’ispira alla madre per il personaggio di Hilary, una donna con problemi di salute mentale la cui vita si riaccende grazie all’arrivo di un nuovo dipendente nel vecchio cinema di una cittadina costiera che gestisce. Un dramma toccante e un inno al potere salvifico del cinema che “ha qualcosa della tenerezza e dalla malinconia di titoli come Nuovo cinema Paradiso o L’ultimo spettacolo, con un tocco della solitaria inquietudine della Jeanne Dielman di Chantal Akerman” (Peter Bradshaw).
Splendida la fotografia dello storico collaboratore di Mendes Roger Deakins, candidato agli Oscar.