Di famiglia antifascista, partigiano, filosofo, poeta, drammaturgo e naturalista, Aldo Braibanti (1922-2014) “genio straordinario” a detta di Carmelo Bene, fu, come sottolineava Pier Paolo Pasolini, “intellettuale mite”, schivo, e non allineato. Purtroppo l’isolamento lo rese anche più attaccabile. Così, quando venne colpito dall’assurda accusa di aver plagiato la mente del suo giovane compagno, Giovanni Sanfratello, si ritrovò solo a combattere una difficile battaglia. Nel 1968, il processo ad Aldo Braibanti fu una vicenda medioevale. Mentre nel mondo infiammava la Contestazione e giovani e intellettuali lottavano per diritti civili e libertà, in Italia bastò una cricca di avvocati, preti, psichiatri e testimoni prezzolati per mandare alla sbarra un innocente e porre fine drammaticamente a quella che era semplicemente una storia d’amore tra uomini. A raccontare Il caso Braibanti sono, tra gli altri, il nipote Ferruccio Braibanti, Piergiorgio Bellocchio, amico e collaboratore, Giuseppe Loteta, che con Marco Pannella e i radicali fece controinformazione a favore di Braibanti, Dacia Maraini, che seguì il processo per Paese Sera, Lou Castel che, giovane attore, partecipo’ al celebre spettacolo Virulentia, mentre Fabio Bussotti e Mauro Conte danno voce ai due protagonisti, ma anche a familiari, testimoni e avvocati di uno dei più eclatanti scandali giudiziari che l’Italia ricordi. Ma, diceva Braibanti, “l’Italia non ricorda”.