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Che Wes Anderson stia diventando un cineasta politico? Da qualche film a questa parte – e forse proprio dalla riflessione sull’animalità e la comunità di
Fantastic Mr. Fox (l’altro film di animazione del regista) – dall’apparentemente svagato Anderson ci giungono segnali di grande consapevolezza e sensibilità sociale. Se
Moonrise Kingdom è uno struggente canto pre-rivoluzionario, in cui due adolescenti confusi e ribelli senza una causa intuiscono negli anni Sessanta che qualcosa sta per accadere e anticipano con la loro fuga ben altre rivolte, con
L’isola dei cani Wes Anderson si misura addirittura con la fantascienza e la distopia. Nella letteratura di genere, un racconto di questo tipo si chiama “not too distant future tale”, ovvero una storia ambientata in un mondo non troppo lontano dal nostro. Si tratta di allegorie con frequenti funzioni di ammonimento, che enfatizzano ed esagerano una tendenza in atto nella società contemporanea per osservare che cosa accadrebbe se diventasse prevalente. [...] Wes Anderson racconta una storia laconica e al tempo stesso sfaccettata, dove a emergere indistruttibili sono il senso di solidarietà e il coraggio sorprendente di bambini e cani, insubordinati e tenacemente impegnati a non subire l’ingiustizia. Non bisogna dimenticare quanto
L’isola dei cani sia intriso di cultura e cinema giapponese, con riferimenti al cinema di Kurosawa ben oltre il semplice omaggio (specie il Kurosawa degli anni Quaranta e Cinquanta), e altre suggestioni chiarissime (da Hokusai a Ozu). Una tradizione, quella nipponica, dove la colpa e l’ingiustizia chiamano direttamente in causa la dignità e l’onore personale, nel bene e nel male. [...]
L’isola dei cani è una di quelle opere che impongono l’oggettività della propria grandezza, almeno per cura compositiva e creatività tecnica, ma che si candidano anche a rimanere nella storia del cinema contemporaneo per come sanno far innamorare di sé man mano che i giorni passano e che il pensiero ritorna al film.
Roy Menarini
È un pattern che abbiamo visto e, purtroppo, continuiamo a vedere. Dei leader che usano, per il proprio tornaconto, dei capri espiatori per aizzare la popolazione fondamentalmente contro sé stessa, contro le minoranze che compongono questa entità maggiore fatta di tante parti. Accade in maniera molto marcata anche oggi. Tutta la storia di
L’isola dei cani si basa su un presupposto simile. Il fatto che si tratti di una storia di fiction ci ha permesso di inventare il nostro contesto sociopolitico, una cosa inusuale per noi e, per questo, anche parecchio interessante. Le idee ci sono venute osservando il passato, ma... anche dal futuro!
Wes Anderson