“Perché si fanno figli? Alla famiglia non servono, la società non li vuole. Io lo so perché li fate: per fotografarli, per dargli le pacchettine sulla faccia, per portarli a spasso, per fargli i Super8, per paragonarli agli altri bambini. Come i cani”. Così un personaggio di Voltati Eugenio, forse il film che rende più chiaro il legame tra la visione amarissima della società italiana e lo sguardo sui bambini di Comencini. Eugenio, dieci anni, è in auto con un amico dei genitori, il balordo umorista Baffo, che dovrebbe accompagnarlo all’aeroporto. Dopo uno screzio, Baffo lo abbandona per strada e i genitori si mettono alla sua ricerca. Frattanto in flashback vediamo la trascuratezza, la solitudine, l’abbandono in cui il bambino è stato lasciato da sempre. Dopo L’ingorgo, film apocalittico su un’umanità che si autodistrugge, tomba della commedia all’italiana ma con un fondo di umanesimo e di pietà, qui il regista sembra parlare dei disastri dei figli del ’68 diventati genitori, in anni in cui ogni spinta del movimento giovanile è già spenta. Nessun tono lamentoso: piuttosto una ballata surreale e malinconica accompagnata dalla musica di Fiorenzo Carpi (assai simile a quella di Cría cuervos, 1977, di Carlos Saura). Comencini non salva nessuno, tanto meno la generazione più anziana, anche se comprende le ragioni di quasi tutti (tranne i nonni borghesi di mezza età). Guardare i bambini significa per lui guardare anche i rapporti di classe (i ricchi, gli ex contadini, i sottoproletari) e di genere (acutissime le dinamiche tra le coppie). In questo film, essere dalla parte dei bambini significa anche, in fondo, essere un po’ anarchici.
ingresso libero