È il ritratto di un paranoico. I paranoici sono come i poeti. Nascono così. In seguito interpretano sempre la realtà alla luce della loro ossessione, a cui tutto viene ricondotto. Supponiamo per esempio che la moglie di un paranoico suoni una piccola frase musicale al pianoforte. Il marito immediatamente si convince che si tratta di un segnale per l’amante che si trova in strada. E così via.
Luis Buñuel, Dei miei sospiri estremi, Rizzoli, Milano 1983
Él, la cui rilevanza clinica è inconfutabile, segue con esattezza il modello di un processo di aggravamento, perché è focalizzato interamente sul progredire di una nevrosi ossessiva. La narrativa stessa adotta allora questo modo di progredire, tracciando i suoi sintomi e la loro escalation, in un delirio sistematizzato i cui segni sono riprodotti e dispiegati dalla finzione, che è contaminata dal delirio; un delirio coerente in cui i dati della malattia e della ideologia che rendono conto di tale delirio, producono anche una logica perversa, ma spietata.
Il modello determina anche il modo di costruzione, la nuova drammaturgia, irriducibile a nessun’altra: un metodo di approccio governato da una complessa logica e da leggi generative che derivano, direttamente, dall’assunto iniziale, dall’oggetto da cui si parte.
Jean-André Fieschi, 1980
A Parigi Jacques Lacan vide il film nel corso di una proiezione organizzata alla Cinémathèque per cinquantadue psichiatri. Mi parlò a lungo del film, in cui riconosceva la presenza della verità, e lo presentò diverse volte ai suoi allievi.
Luis Buñuel, Dei miei sospiri estremi, Rizzoli, Milano 1983
Il film segna una sorta di esplicito ritorno a Freud, del resto mai abbandonato, sia pur con altri presupposti e altri intenti rispetto alle valenze riscontrabili, per esempio, nei due film d’avanguardia. Non siamo più nella scia della celebrazione surrealista dell’isteria, ma sul piano, molto più razionale, del conflitto tra ‘essere’ e ‘dover essere’ ossia, in ultima istanza, del conflitto tra individuo e società. A guidare Buñuel nell’analisi del rapporto tra la singola persona e le convenzioni sociali che ne condizionano i comportamenti in modo anomalo (e per questo ritenuti patologici) è, ancora una volta, il pessimismo, quello ‘scacco della storia’ di cui abbiamo già parlato. Entro questo orizzonte tuttavia Él costituisce un’eccezione poiché alla sconfitta dell’individuo e alla sua espulsione dal consorzio umano si contrappone la sua affermazione nella sfera dell’inconscio (lo zig zag finale del protagonista, dopo che si è fatto monaco). Come succederà in altre grandi opere degli ultimi anni, qui, per la prima volta, il radicale pessimismo buñueliano si stempera, grazie all’ironia, in una visione meno tragica della vita, meno tragica di quanto sia, per esempio, in Las Hurdes o in Los Olvidados. Non bisogna però confondere l’ironia con l’umorismo, che è peraltro spesso presente soprattutto nella sua variante ‘nera’ surrealista. L’ironia è quello specifico strumento filosofico, di matrice socratica, che permette di guardare le sorti proprie e altrui con sufficiente distacco e disincanto. È l’insopprimibile istinto di reazione all’assenza di prospettive del pessimismo storico. L’importanza di Él sta proprio nell’essere il principio di una svolta poetica destinata ad avere consistenti sviluppi soprattutto quando don Luis svincolerà questa sua intuizione dal connotato patologico, che la attenua un poco, per darle corpo, per esempio in Il fascino discreto della borghesia, in assoluta libertà di spirito, tra realismo e onirismo, nella messa in scena di situazioni e personaggi del tutto ‘normali’. Partito dalla lettura giovanile della Psicopatologia della vita quotidiana, Buñuel arriva ora a considerare (e quindi a rappresentare) l’uomo e i suoi comportamenti come espressione di una irrimediabile e lucida follia. A indiretta riprova di questa svolta sta un altro importante avvenimento che si colloca nel 1953: la prima redazione, insieme con il fidato Alcoriza, della sceneggiatura di L’angelo sterminatore che in questa fase prende il nome di Los náufragos de la calle Providencia [I naufraghi di via Provvidenza]. Dovranno passare nove anni prima che il copione diventi film e, come vedremo, il mutato contesto culturale dei primi anni sessanta determinerà notevoli cambiamenti nell’impianto dell’opera. Per concludere con Él possiamo aggiungere che il film fu compreso in misura minima e poco apprezzato dal grande pubblico. Riscosse invece una notevole fortuna critica soprattutto nell’ambito psicanalitico, ma tale fama, anche se accrebbe la considerazione degli intellettuali per l’autore, non contribuì certo a fare emergere tutti i valori dell’opera.
Auro Bernardi, Luis Buñuel, Le Mani, Recco 1998