Wenders firmò con la American Zoetrope di Francis Ford Coppola per dirigere Hammett (1982), un resoconto romanzato della vita dello scrittore di gialli Dashiell Hammett. Fu un’esperienza infelice per il regista. Oltre a ritenere che il materiale fosse forse ‘troppo americano’ per un europeo, la sua richiesta di far scrivere a Ry Cooder una semplice e struggente colonna sonora per il film fu respinta, poiché il musicista non aveva mai scritto una colonna sonora completa per un film. Ancora più cruciale, a Wenders fu negata la possibilità di scegliere Sam Shepard come protagonista. Aveva incontrato Shepard mentre era impegnato con la sua pièce teatrale Fool for Love
, gli piaceva e voleva che interpretasse Hammett. “Era uno scrittore, era bello ed era un attore; ma fino ad allora, solo un attore di teatro. Sarebbe stato fantastico”, ricordò Wenders più tardi. Ma lo studio insistette per avere una star del cinema. Tuttavia, Wenders e Shepard rimasero in contatto, sperando di poter collaborare su qualcos’altro in futuro.
Quel momento arrivò quando Shepard diede a Wenders il manoscritto del suo Motel Chronicles nel 1982, una raccolta di racconti, haiku e poesie ambientate nel West americano: “C’erano delle scene brevi e straordinarie con personaggi coloriti. Chiesi a Sam se potevo trarne una sceneggiatura e lui disse: ‘Certo che puoi. Ma buona fortuna, non c’è una vera storia lì dentro’”. Wenders capì presto il punto di Shepard, ma la risposta dell’attore-drammaturgo alla sceneggiatura provvisoria scritta dal regista offrì una strada da seguire. “Shepard pensava che fosse un approccio interessante, ma che non reggesse davvero. Invece, suggerì che scrivessimo qualcosa da zero. Prendemmo una scena dalla mia sceneggiatura che raffigurava un uomo fermo su un’autostrada, intento a svuotare le sue tasche, lasciando tutto e dirigendosi dritto nel deserto. Letteralmente abbandonando tutta la sua vita. Mi piaceva quella scena – era importante nella mia sceneggiatura. Sam pensava che quell’uomo potesse essere un buon inizio, solo al contrario: sarebbe uscito dal deserto, dal nulla. Non ha nulla con sé. Non sappiamo chi sia, perché quest’uomo è quasi catatonico e sembra aver dimenticato tutto. Così, iniziammo a scrivere una storia per quel personaggio”.
Dal pressbook internazionale del film
Gli ho mostrato il manoscritto di Motel Chronicles. Si intitolava Transfixion. Il testo gli è piaciuto molto e ha detto che voleva trarne un film. Poi mi ha mostrato una specie di rozzo adattamento. Non mi è piaciuto molto e neanche lui – si vedeva – era così entusiasta del modo in cui aveva adattato il testo. Così ci siamo trovati e ci siamo chiesti come avremmo potuto adattare quelle storie per un film. Io ho suggerito: “Perché anziché farne un adattamento letterale non usiamo un po’ dell’essenza di queste storie nei personaggi?”. Lui era d’accordo, per cui abbiamo iniziato ad affrontare l’idea di uno o due personaggi.
Siamo partiti con l’idea di due fratelli: uno soffre di una specie di amnesia, anche se non dovrebbe essere spiegata in questi termini perché è una specie di ritiro dal mondo e di successivo rientro; l’altro, al contrario, è decisamente immerso nel mondo. Due opposti. È cominciata proprio come un’idea su dei fratelli, ma è diventata tutta un’altra cosa, che alla fine verteva sulla relazione tra uomini e donne. Fondamentalmente, riguarda di più gli uomini e le donne che l’originale questione fraterna. E penso che sia più forte per questo. Dietro c’è un lungo percorso. La sceneggiatura è davvero un lungo e arduo percorso.
È buffo, perché abbiamo scritto la prima bozza tutta d’un fiato, fino alla fine. Circa centosessanta pagine in tre o quattro settimane, mi pare. E poi abbiamo iniziato a pensarci sempre di più e a vederci un sacco di intoppi, e tanti punti in cui cercavamo di manipolare la storia. Ha avuto parecchi finali…
Sam Shepard, pressbook del Festival di Cannes, 1984, ora in Wim Wenders, a cura di Stefano Francia Di Celle, Torino Film Festival/Il Castoro, Torino-Milano 2007
“Volevamo tenere aperto il finale, perché a entrambi non piaceva scrivere un finale. Anche per le sue stesse opere teatrali, Sam non lo faceva, ma lo sviluppava dalle prove iniziali. ‘È così difficile scrivere un finale prima di girare’, disse Shepard, ‘manteniamo il finale aperto e scriviamo solo metà della sceneggiatura, e poi, mentre viaggio con te, finiamo la storia – a quel punto conosceremo meglio i nostri personaggi’.” Wenders adorava quell’approccio: “Ho lavorato in questo modo su diversi film. Avevo solo i personaggi. Iniziavano a viaggiare e io li seguivo. Come in Nel corso del tempo”. […]
Alla fine, a metà della sceneggiatura, le riprese si fermarono bruscamente. Non c’era più una sceneggiatura valida dopo che Travis e Hunter avevano lasciato Los Angeles. Shepard disse a Wenders al telefono che stava già riscrivendo il film che stava girando con Jessica [Lange]. “Posso aiutarti con i dialoghi, ma la storia devi trovarla tu.” Che gli piacesse o meno, Wenders dovette inventarsi da solo la seconda metà della trama del film. A quel punto, tutto il cast e la troupe erano stati mandati a casa per qualche settimana, fino a quando Wenders non avesse deciso come far finire Paris, Texas. Solo l’assistente alla regia Claire Denis […] rimase con lui.
“Claire rimase con me a Los Angeles. Prima delle riprese, aveva trascorso quattro settimane di sopralluoghi con me, il che era davvero un lusso, soprattutto perché io avevo già viaggiato per tre mesi da solo! Conoscevo ogni strada polverosa del Texas, dell’Arizona e del Nuovo Messico. Guardando le fotografie che avevamo scattato, Claire mi ricordò di un peep show abbandonato che avevamo visitato a Port Arthur, sulla costa del Texas, una città che avevamo visitato solo perché era il luogo di nascita di Janis Joplin. Il locale si chiamava The Keyhole Club. A quel tempo, non avevo mai visto un peep show. Voglio dire, conoscevo il concetto: gli uomini guardavano le donne. In qualche modo, sentii che quella era la nostra soluzione! Ma non volevo che fosse in alcun modo un ‘sex shop’. Tuttavia, mi piaceva l’idea che Travis potesse vedere Jane e che, solo alla fine, anche lei potesse vederlo. Così, inventai il nostro peep show. Scrissi questa seconda parte della storia basata su questa location auto-inventata. Ma la scena del peep show che creai era più simile a una seduta di psicoanalisi. Scrissi l’intero finale in una sola notte”.
Dal pressbook internazionale del film
Questa sceneggiatura, di fatto, è stata concepita momento per momento. […] È stata davvero una fantastica esperienza. La migliore esperienza di lavoro su una sceneggiatura. Sentivamo un sacco di cose in comune, era sorprendente. Persino nella musica. Una volta abbiamo fatto un viaggio in macchina verso Los Angeles, io mi ero portato un sacco di audiocassette, e anche Wim, e a volte erano esattamente gli stessi motivi, blues difficile, per iniziati, come Skip James e roba del genere. Ma non semplicemente Skip James, lo stesso identico pezzo di Skip James.
Wim ha questa fascinazione per l’America, che in un certo modo ho anch’io… Ma mi accorgo che, per via del suo ‘essere europeo’, vede certe caratteristiche della cultura americana che alcuni registi americani si lascerebbero sfuggire del tutto.
Sam Shepard, pressbook del Festival di Cannes, 1984, ora in Wim Wenders , a cura di Stefano Francia Di Celle, Torino Film Festival/Il Castoro, Torino-Milano 2007