L’editoriale di marzo

Il programma di marzo nelle sale della Cineteca

 

Paolo Virzì torna in sala con un Un altro ferragosto, affresco ambientato d’estate a Ventotene, prosecuzione, vent’anni dopo, di Ferie d’agosto. È un film spericolato e coraggiosissimo, perché raccontare l’Italia di oggi, come faceva Scola nei Settanta, sembra un’impresa impossibile. Troppe le Italie, le istanze, le differenze, i desideri che attraversano il nostro paese. Virzì ci prova e riesce a ritrarre, aiutato da un cast d’eccezione e da una sceneggiatura spumeggiante, un’Italia spaccata in due, litigiosa, smarrita, confusa, divertente e ignobile. Dedichiamo a Virzì un omaggio che ci permetterà di seguire questo livornese geniale che, nel solco della tradizione della commedia all’italiana, ha saputo raccontarci con affetto e crudeltà.
Nicolas Philibert, da quasi cinquant’anni, con i suoi documentari ci fa vedere quello che nel quotidiano ci sfugge, che non riusciamo a vedere con altrettanta lucidità. La retrospettiva che gli dedichiamo ci mostra i suoi lavori degli ultimi trent’anni. Ogni suo film è un distillato di umanesimo, di finezza registica e di celebrazione della vita. Philibert è laureato in filosofia e ogni suo film, pur basato sull’osservazione discreta della realtà e degli esseri umani, ha la profondità di un trattato filosofico, in cui incontriamo protagonisti che escono dallo schermo e ci restano a fianco come i personaggi dei grandi film di finzione. Vedremo Sur l’Adamant, che gli è valso l’Orso d’oro alla Berlinale 2023, dove ha appena presentato Averroès et Rosa Parks, secondo capitolo di una trilogia sulla cura delle malattie mentali. Sono film che ci fanno capire il ruolo della sanità pubblica e dei suoi operatori: un bella introduzione al ciclo che organizziamo in occasione del centenario di Franco Basaglia, in collaborazione con l’Istituto Minguzzi e la Fondazione a lui dedicata.
Festeggiamo anche i cent’anni di Marlon Brando, l’attore moderno per eccellenza, che portava su di sé l’arrivo di inquietudini nuove, l’annuncio di cambiamenti radicali, che impose una fisicità di inedita forza che andava insieme all’introspezione più intima e profonda. Marlon è subito un’icona, il simbolo di un’epoca. Vi consiglio di non perdere il documentario Listen to Me Marlon di Stevan Riley, prezioso per capire questo artista complesso come può esserlo la psiche umana. Quando Coppola gli propose di interpretare Don Vito Corleone nel Padrino, Brando aveva quarantasette anni e la sua carriera era in crisi. Il film gli varrà l’Oscar per la migliore interpretazione, ma
lui non andrà a ritirarlo, manderà un’attrice semisconosciuta presidentessa dell’improbabile National Native American Affirmative Image Committee, che leggerà parte di una lettera di quindici pagine che accusa la comunità
cinematografica “di aver degradato l’indiano e di essersi presa gioco del suo carattere, descrivendolo come selvaggio, ostile e malvagio”. È forse lo schiaffo più clamoroso assestato a Hollywood, alla sua immagine, durante la cerimonia degli Oscar.
Come affrontare la Pasqua? Vi proponiamo un omaggio al maestro della parodia, Melvin James Kaminsky, più noto come Mel Brooks, nato nel giugno del 1926 a Brooklyn, da genitori ebrei, emigrati dalla Russia e dalla Germania. Dopo aver temprato il suo talento comico prima per far ridere sua madre e poi i commilitoni durante la Seconda guerra mondiale, arriva al cinema spinto dalla seconda moglie, Anne Bancroft. Il suo primo film, Per favore non toccate le vecchiette, è un memorabile insuccesso, ma vinse l’Oscar per la migliore sceneggiatura. Brooks venderà la statuetta “perché i tempi erano duri”, scoprirà due enormi talenti comici come Gene Wilder e Marty Feldman e produrrà due film notevoli, cruciali per le carriere dei loro autori, Elephant Man e La mosca. Nel giugno scorso ha finalmente ricevuto l’Oscar alla carriera e quest’anno ricorrono i cinquant’anni del suo capolavoro, Frankenstein Junior, un film così grande che ci appare più bello ogni volta che lo rivediamo.
Gli Oscar del Modernissimo. Nessuna giuria esprime un verdetto oggettivo, i vincitori non sono i più belli in assoluto, sono ‘solo’ i preferiti da quella giuria. Quest’anno ho partecipato alle votazioni per gli Oscar: l’Academy ha molto lavorato per rendere la giuria dei votanti più ampia, rappresentativa e plurale. Il meccanismo impone ai giurati di vedere un gran numero di film. La categoria per il miglior film internazionale è quella con il maggior numero di partecipanti, uno per ogni paese, indicato da giurie nazionali. Tra quelli degli Oscar e quelli dei vari festival a cui ho partecipato, posso dire di aver visto non tutto, ma moltissimo e posso affermare, a ragion veduta, che la produzione cinematografica degli ultimi due anni è stata straordinaria. Per tanti film che godono della luce di essere nella selezione finale ce ne sono molti altri, soprattutto nella categoria miglior film internazionale, che avrebbero meritato e tuttavia non ci sono arrivati. Siccome il Modernissimo e soprattutto il pubblico del Modernissimo (anche a gennaio il più numeroso di ogni altra monosala in Italia) sono unici, ho pensato di fare una mia short list: dodici film indipendenti che non hanno goduto di grande attenzione mediatica, molto diversi tra loro, importanti per capire il mondo che ci circonda e che cos’è il cinema oggi. Sono tutti da non perdere, alcuni hanno vinto premi prestigiosi, altri ci sono andati vicino. Nessuno di essi riceverà la luce degli Oscar, ma gli offriamo una chance importante: essere visti dal pubblico del Modernissimo! Buona visione!

Gian Luca Farinelli

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