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Questo film è la storia di un ottimista scritta da quattro pessimisti. I quattro pessimisti sono, oltre al sottoscritto, gli sceneggiatori Age e Scarpelli e il regista Mario Monicelli. Il film è stato prodotto nel 1961 da una cooperativa composta da quattro autori, due sceneggiatori e due registi, fondata con l’intenzione di produrre dei film scritti da tutti e diretti una volta dall’uno, una volta dall’altro regista. Il primo film realizzato, A cavallo della tigre, ebbe uno strano destino: credendolo una commedia leggera, il pubblico si sforzava di ridere nonostante tutto; i momenti drammatici e crudeli gli sembravano dissonanti. [...] Nel 1973 questo film è stato riesumato a Venezia alle Giornate del cinema italiano, organizzate dagli autori che contestavano la struttura ufficiale della Mostra (che quell’anno non ebbe luogo). Si trattava di
proiezioni aperte a tutti a cui assisteva un pubblico principalmente composto da giovani. Per noi fu una felice sorpresa vedere che il film era finalmente capito e che il suo aspetto drammatico appariva intatto agli occhi degli spettatori. Ne abbiamo concluso che era stato in anticipo sulla sua epoca e che, quando uscì, il pubblico non era maturo. [...] Giacinto, il protagonista del film, è un ottimista. Cerca sempre di vedere il lato migliore di tutte le situazioni. Ha fiducia nell’uomo e crede ai buoni sentimenti. In prigione, vittima per la sua ingenuità dei peggiori scherzi, proclama che, tutto sommato, si trova bene anche quando lo mettono nella cella dei delinquenti più incalliti, e spera che il loro cuore potrà intenerirsi alla sua triste storia. “Qui tutti mi vogliono bene” esclama, senza dubbio per farsi coraggio nel momento più nero delle sue disavventure.
Con questo bagaglio di idealismo un po’ sempliciotto, Giacinto va di sconfitta in sconfitta, fino all’ultima, la più cocente di tutte: dovrà lasciare a un altro la donna che ama e vendere il solo amico che gli resta perché i suoi bambini abbiano di che mangiare, secondo un’anti-morale perfetta e inesorabile in questo ambiente sordido e miserabile. [...]
A cavallo della tigre è anche, come si vede nelle ultime scene, una parabola sulla relatività della morale borghese, della quale sono prigionieri i personaggi del film, e che li porta a compiere le azioni più assurde. Giacinto e i suoi tre compagni d’evasione, che si disprezzano l’un l’altro benché abbiano, nel loro intimo, un bisogno pressante di essere compresi – dunque amati –, formano, con i loro diversi caratteri, un perfetto microcosmo in cui, nelle loro diverse avventure, sono messi in luce tutti i tipi di rapporti umani, dai più abbietti ai più commoventi.
Luigi Comencini