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Quindici anni di confino in una stanza con il solo conforto di uno schermo tv e un’ingiusta accusa di uxoricidio. Quanto basta per scatenare una cieca e sanguinosa sete di vendetta. Il secondo atto della ‘Trilogia della violenza’ è una tragedia elisabettiana costellata di atrocità che s’impasta con memorabili pennellate di humour nero e uno stile visivo ispirato all’estetica manga, in cui riprese e montaggio accentuano il senso di angoscia claustrofobica del protagonista. “Il film che avrei voluto fare”, parola di Quentin Tarantino, che a Cannes lo premiò con il Gran Prix della giuria. (ac)