Sarà il cinema cecoslovacco degli anni Sessanta, la “nuova ondata” di registi, sceneggiatori, attori che esordiranno in quel periodo, a creare quella ‘scuola’ che non ci fu in precedenza: una scuola, o meglio un movimento artistico e culturale, con implicazioni politiche, ideologiche e sociali non trascurabili, che si affermerà nell’arco di alcuni anni in tutta Europa e altrove, collocandosi, con la propria peculiarità e i propri caratteri originali, a fianco delle altre scuole e movimenti che segneranno una svolta nella storia del cinema mondiale a cavallo fra gli anni Cinquanta e Sessanta. Un gruppo di registi trentenni, da Vera Chytilová (classe 1929) a Miloš Forman (1932), da Štefan Uher (1930) a Jan Nemec (1936), da Jaromil Jireš (1935) a Evald Schorm (1931), da Pavel Jurácek (1935) a Jirí Menzel (1938), da Ivan Passer (1933) a Antonin Máša (1935) a Juraj Jakubisko (1938) – per citare i più noti – riuscì a realizzare, spesso tra difficoltà non trascurabili e col rischio di vedere interrotta la propria attività o interdetti i propri film, un gruppo di opere di straordinaria vitalità, che ci davano della società cecoslovacca un’immagine sfaccettata, critica, problematica, anche polemica e dissacratoria, persino tragica e angosciante. Questa immagine, o meglio le immagini molteplici e concomitanti che questi film hanno proposto, non soltanto sono il frutto di un impegno al tempo stesso artistico e sociale, che in larga misura contraddiceva la pratica di un cinema spesso asservito al potere, magari mistificatorio e retorico, ma anche rivelano un’attenzione particolare alla ‘forma’, cioè alla sperimentazione di nuovi modelli narrativi e rappresentativi, di un nuovo linguaggio filmico, che solo in parte può essere equiparato a quello di altre “nuove ondate” europee. C’è insomma nelle opere di Schorm o di Némec, di Menzel o di Forman, della Chytilová o di Jireš (per tacer d’altri), una visione molto personale della realtà, uno sguardo originale, una tensione ideale soggettiva, un modo di far cinema che manifesta appieno la propria autonomia espressiva.
Gianni Rondolino, in Nová vlna. Cinema cecoslovacco degli anni ’60, a cura di Roberto Turigliatto, Lindau, Torino 2004
La nová vlna fu davvero un’ondata e fu davvero nuova. Il rallentamento del processo di destalinizzazione, dopo il congresso di Banskà Bystrice del 1957, fece sì che le forze innovatrici venissero compresse nei cinque anni successivi; al primo aprirsi di uno spiraglio, tra il 1962 e il 1963, le energie dei nuovi arrivati si riversarono verso direzioni ben più radicali di quelle tentate timidamente dai loro predecessori, come Kadar e Klos e i registi della “generazione del 1956” (Jasný e Kachina, Brynych e Helge: quest’ultimo, a mio parere, il più interessante nel suo classicismo e nella sua ‘critica dall’interno’ al sistema). Vlácil, da parte sua, che della nová vlna fu un precursore, mantenne sempre una propria autonoma linea poetica, inassimilabile a qualsiasi tendenza. I nuovi cineasti furono invece un gruppo di persone legate tra loro da rapporti di collaborazione e di discussione, una formazione comune alla FAMU di Praga (dove coi boemi studiarono gli slovacchi Hanák, Jakubisko, Havetta e Trancík), una divisione interna in tendenze molto specifiche e identificabili per affinità o contrasto. Se la linea Forman-Passer-Papousek costituì un vero e proprio team produttivo, Ester Krumbachova fu al centro di tutta una tendenza letteraria-metaforica-avanguardista, agendo del resto da liaison tra registi molto diversi come la Chytilová e Nemec. Nella nová vlna funzionarono le amicizie (tra Jurácek e Schmidt, tra i “tre moschettieri” della commedia già ricordati, tra gli slovacchi Havetta e Jakubisko) e le coppie (Kucera e Chytilová, Nemec e Krumbachová), ma su tutti esercitò un’influenza notevole l’autorità morale più solitaria di Schorm, con la sua aureola di sofferenza e di serietà. Infine, all’ondata dei registi si affiancarono, innervando potentemente lo stile e l’immagine della nová vlna e producendo del resto alcune delle mutazioni piu profonde, quelle dei fotografi (dai più anziani Kucera e Curík ai più giovani Nemecek, Ondrícek, Šofr, Ort-Šnep, e gli slovacchi Szomolányi e Igor Luther) e degli attori, professionisti e non professionisti, corpi nuovi che mandavano in frantumi la statuaria degli anni Cinquanta. La nová vlna fu dunque tutt’altro che quell’avventura di individui isolati in cui sembrava consistere, per il regista Kazimierz Kutz, la precedente “scuola polacca”.
Roberto Turigliatto in Nová vlna. Cinema cecoslovacco degli anni ’60, a cura di Roberto Turigliatto, Lindau, Torino 2004