Tra astrazione e realismo stilizzato

I libri sono stati un successo in tutto il mondo perché i disegni erano astratti, in bianco e nero. Io credo che questo abbia aiutato i lettori ad avvicinarsi a questa storia, che potrebbe essere ambientata in Cina, Israele, Cile o Corea, perché è una storia universale. Persepolis ha anche momenti onirici, e i disegni aiutano a dare continuità e coerenza alla storia; ma anche il bianco e nero (ho sempre paura che il colore possa diventare volgare) è servito in questo senso, come pure l’astrazione dell’ambientazione e degli sfondi. Vincent ed io pensavamo che proprio questo rendesse la sfida ancora più intrigante e avvincente, da un punto di vista artistico, estetico.
Marjane Satrapi


Verrebbe da dire che al cinema il fumetto Persepolis di Marjane Satrapi finisce addirittura per guadagnarci. E questo nonostante i quattro volumi avessero conquistato mezzo mondo raccontando, tavola dopo tavola, il processo di maturazione e poi di crescita di una piccola ma combattiva iraniana, non a caso fan di Bruce Lee. Si era giustamente parlato di intelligenza, umorismo, autoironia e passione, sottolineando come l’autrice riuscisse a concentrare in un solo disegno il suo messaggio e a renderlo immediatamente comprensibile. Senza dimenticare che il vero soggetto di Persepolis era la storia di uno Stato, l’Iran, dalla caduta dello Scià alla democrazia teocratica degli Ayatollah, non l’avventura più o meno fantastica di una bambina. E che si parlava di torture, esecuzioni, guerre, morti… Come dire: un argomento non certo ‘nazional-popolare’ che aveva conquistato il pubblico per forza di stile e di intelligenza. […] L’idea vincente è stata probabilmente quella di conservare anche per lo schermo la piacevole astrazione bidimensionale dei suoi disegni originali. In un cinema d’animazione dove tutti sembrano inseguire il più vero del vero con personaggi tridimensionali, facendo ricorso a tutte le più sofisticate invenzioni della creazione digitale, Persepolis (film) rivendica il suo diritto a essere fatto di disegni ai limiti dell’astrazione, di mettere in campo un’animazione molto semplice e di scegliere il bianco e nero come universo cromatico di riferimento.
Paolo Mereghetti, “Corriere della Sera”, 29 febbraio 2008, in Persepolis, Bur, Milano 2008


Lo stile visuale del film potrebbe essere definito ‘realismo stilizzato’, perché volevamo che il disegno fosse assolutamente aderente alla realtà, non come un cartone animato. […] Io sono sempre stata ossessionata dal neorealismo italiano e dall’espressionismo tedesco, e alla fine ho capito perché: sono scuole di cinema postbellico. Nella Germania del dopo-prima guerra mondiale, l’economia era così devastata che i cineasti non potevano permettersi di girare in esterni, e giravano in studio usando atmosfere e forme geometriche di grande impatto visivo. Nell’Italia del dopoguerra la situazione era la stessa, ma la soluzione adottata inversa: per mancanza di soldi, si giravano i film per le strade, e con attori sconosciuti. In entrambe queste due scuole, però, trovi quel tipo di speranza di chi ha vissuto una guerra e una grande disperazione. Io stessa vengo da una scuola post-bellica, avendo vissuto gli otto anni della guerra Iraq/Iran.
Il film è una combinazione di cose diverse – l’espressionismo tedesco e il neorealismo italiano. Propone scene estremamente crude e realistiche, in un contesto estremamente stilizzato, con immagini che a volte sfiorano l’astratto. Siamo stati anche influenzati da alcuni elementi di film che abbiamo amato entrambi – come il ritmo serrato del film di Scorsese Quei bravi ragazzi.
Marjane Satrapi


Volevamo che il film avesse la stessa energia dei romanzi. Non potevamo accontentarci di filmare una tavola dopo l’altra. In realtà, i nostri riferimenti sono stati film con attori in carne e ossa: io avevo visto molte commedie italiane, perché mia madre le adorava, mentre Marjane è una grande ammiratrice di Murnau e dell’espressionismo tedesco. Così ci siamo ispirati a questi due filoni e poi abbiamo messo insieme le cose che ci piacevano.
I libri di Marjane raccontano la vita di una famiglia, quindi anche il film doveva ruotare intorno a un tema familiare centrale. I codici tradizionali dei film di animazione non sembravano funzionare, così ho usato un montaggio di tipo cinematografico, con molti stacchi veloci. Anche da un punto di vista estetico, abbiamo attinto a tecniche del cinema dal vivo.
Vincent Paronnaud


Marjane Satrapi crea i modelli dei personaggi e degli oggetti per gli animatori. Vincent Paronnaud è responsabile delle scenografie, in grigio, che rappresentano una novità formale rispetto ai fumetti. I due illustratori si dividono ulteriormente il lavoro: Paronnaud è interessato all’articolazione tra le scene, mentre Satrapi a ciò che accade all’interno delle inquadrature. Il loro grande risultato è di aver inventato uno spazio specificamente cinematografico per questa storia che oscilla tra realismo e sogno, tra cronaca tenera della vita di una famiglia e incubo totalitario, utilizzando una peculiare estetica in bianco e nero che combina riferimenti al neorealismo italiano e all’espressionismo tedesco. L’uso delle luci, di aperture e dissolvenze al nero, ispirate a L’infernale Quinlan di Orson Welles e a La morte corre sul fiume di Charles Laughton, completano il loro vocabolario di riferimento. Persepolis utilizza anche le ombre cinesi, dando l’idea che i personaggi siano manipolati come burattini di carta ritagliati da un invisibile e assurdo regime di terrore.
Xavier Kawa-Topor, in Le Cinéma d’animation en 100 films, a cura di Xavier Kawa-Topor e Philippe Moins, Capricci, 2016