Questo Dedica, scritta da Ejzenštejn fra il 1945 e il 1948 e rimasta a lungo inedita, è apparsa in prima traduzione italiana in Eisenstein su Eisenstein, a cura di Pier Marco Santi, Istituto di Storia dell’Arte dell’Università di Pisa – Comune di Pistoia, 1980.




Cara e stimatissima Corazzata! Se è permesso a Gaiev nel Giardino dei ciliegi di pronunciare questo omaggio: “Caro e stimatissimo armadio, io saluto la tua esistenza!”, non ho ancora più ragioni per indirizzarti le stesse parole di saluto, mia cara amica e fedele compagna di lotta?
Tu: un qualche cosa che io stesso ho creato, ma anche un qualche cosa che è nato in modo assolutamente autonomo e indipendente da me; un qualche cosa che vive al mio fianco di vita propria.
Anche nel momento in cui ti creavo, proprio come più tardi, ti vedevo sostanzialmente come un prodotto della nostra epoca: non solo l’immagine dei pensieri e delle azioni collettive di una comunità di marinai nell’uragano rivoluzionario del 1905; ma anche la risultante dello slancio collettivo del nostro popolo teso verso una propria autonomia espressiva. Slancio producentesi nel momento chiave del passaggio dal patetico della guerra civile all’era nascente dell’industrializzazione.
È proprio in questo spirito che ho preso la parola di fronte a numerosissimi ascoltatori di diversi paesi: club operai dell’Occidente, Università d’America e d’Europa… La maggior parte di questi interventi proseguivano l’azione da te condotta sullo schermo: mi sforzavo prima di tutto di trasmettere quel sentimento del patetico rivoluzionario attraverso il quale viveva e vive il nostro popolo, attuando i grandi fatti della Rivoluzione, dell’industrializzazione o (più tardi) del coraggio militare. Nel nostro comune destino, tuo e mio, la leggenda di Pigmalione e della statua di Galatea animata di vita propria, non mi sembrava affatto una chimera.
L’immagine, raffigurata ironicamente, di Pigmalione mi è da molto tempo familiare. È proprio a lui che Daumier ha dedicato una delle sue più affascinanti litografie, una delle prime che ho avuto occasione di vedere. Vi si osserva Galatea appena svegliata alla vita che, piegando elegantemente la sua figura un po’ rotonda di piccolo-borghese parigina, è tesa avidamente verso una presa di tabacco dalla tabacchiera tenuta aperta da un Pigmalione in estasi.
Nella nostra unione, non sei tu ma io che, costantemente, anno dopo anno, ho teso verso di te allo stesso modo.
Siamo giusti: non per una presa di tabacco, per la quale molti sono pronti addirittura a vendere sia i principi, che l’orientamento, che la continuità delle tradizioni del loro credo artistico. Se io ho teso verso di te, è stato per tutt’altro scopo.
Immancabilmente, ho teso verso di te tutte le volte che i nuovi temi e problemi della nostra arte cinematografica, uniti alle nuove possibilità e scoperte tecniche, ci ponevano nuove e sconcertanti domande.
Dal nostro primo incontro, il suono, il colore, il rilievo, e la realtà della televisione hanno fatto il loro ingresso nel cinema. Anche altre discipline, all’interno stesso della nostra arte, esigevano delle soluzioni teoriche: i problemi del paesaggio e il sistema del linguaggio cinematografico, le basi della poetica cinematografica e l’estetica del primo piano, i principi e la teoria del montaggio, il problema del cinema patetico e i problemi del contrappunto audiovisivo, il comportamento sinfonico del colore nella struttura del film, la nozione di musicalità dell’immagine plastica, la composizione drammatica del film, i principi della cine-poesia epica e dell’allegoria plastica, la visualizzazione delle nozioni astratte, successivo stadio dopo l’acquisizione dell’allegoria filmica, della metafora, della metonimia, della sineddoche filmica.
Ogni volta, errando sconcertato tra la marea delle nuove possibilità ed esigenze, è sempre a te che mi sono rivolto.
E immancabilmente, ho trovato nei tessuti stessi del tuo organismo non solo un punto di appoggio per l’elaborazione dei principi generali, ma anche degli embrioni di soluzione di questi problemi. Così, le suites dei paesaggi del Potëmkin contenevano il germe della proto-musica melodica dell’immagine filmica; la bandiera rossa produceva come eco l’irruzione del colore svolto in modo logico, dinamico; la musica di Meisel, composta su commissione, per la sequenza delle macchine del Potëmkin prima dell’incontro con la squadra ammiraglia, indicava il cammino da seguire per i principi dell’accordo immagine-suono, accordo non realizzato sulla base di principi esteriori evidenti, ma sulla base di principi emozionali, immaginati interiormente, ecc. Perfino io sono stupito di come, nel brevissimo periodo di tre mesi, siamo riusciti ad ammucchiare nelle tue stive una tale quantità di problemi embrionalmente abbozzati o completamente risolti, appartenenti alla sfera di indagine cui mi sono assiduamente dedicato, anno dopo anno, per venticinque anni, tappa dopo tappa dell’evoluzione del nostro cinema, in modo da sviluppare quei principi in base ai quali si sono potuti affrontare problemi sempre più complessi. E se un tempo sei stata chiamata in vita, frutto dell’ispirazione creatrice di un giovane e debuttante maestro, si direbbe che ora non manchi di acquistarti merito nei confronti di uno che, diventato esploratore invecchiato, è stato un infaticabile esploratore di elementi, materiali, orientamenti nuovi, all’interno del labirinto sempre più complesso delle problematiche della nostra arte cinematografica. Tu ed io abbiamo servito la stessa causa. Tu hai insegnato al proletariato a liberarsi dal giogo dell’oppressione, mediante l’azione rivoluzionaria. Io ho cercato di eliminare, di troncare là dove era necessario, tutti quegli ostacoli che erano di impedimento alla risoluzione dei problemi della creazione. Il cliente è lo stesso. Io l’ho fatto affinché la pleiade dei giovani quadri creatori potesse essere capace di conoscere e possedere la tecnica del processo creativo, analogamente a come le tue sequenze erano consacrate all’insegnamento della tecnica dell’insurrezione armata. Sarebbe mio desiderio, allo stesso modo con cui tu hai operato, sotto l’egida della stessa bandiera rossa, nell’interesse e nel profitto delle stesse forze sociali del proletariato, poter scoprire i misteri e i fondamenti del lavoro artistico. Sarebbe mio desiderio tracciare delle strade per un’estetica operativa, capace di facilitare e di accelerare la produzione di un armamento spirituale in base al quale, allo stesso modo dell’armamento militare, il proletariato possa condurre l’umanità verso un nuovo avvenire.
Basterebbe tracciare delle vie che conducano alla soglia di questi problemi! Basterebbe sbrogliare l’ABC tecnologico della strutturazione e della produzione delle opere, per poter risolvere, con il tempo e in modo esaustivo, i problemi della struttura delle cose.
Non potrebbe e non dovrebbe, la nostra epoca, compiere un nuovo balzo per lanciarsi in un periplo che le permetta di assimilare i problemi ed i misteri della produzione e della struttura delle cose?
Non potremmo noi, pur tenendo conto della nostra imperfetta padronanza dei metodi fornitici dalla scienza marxista, non potremmo noi prenderci il rischio di aprirci un varco fra queste categorie della problematica e dei metodi di azione artistici, nel quale varco non è quasi mai penetrato il raggio luminoso dell’indagine analitica?