“Il più bel film italiano” – Ladri di biciclette

Il film più umano che sia mai stato girato.
(Gabriel García Márquez)



È un film senza pecche. Un lavoro assolutamente perfetto.
(Woody Allen)



La vera umanità io l’ho trovata solo con i registi italiani. In questo senso Ladri di biciclette è stato fondamentale per la mia formazione.
(Abbas Kiarostami)



Ci sono degli eventi che a una certa età ci hanno miracolato e io devo mettere tra questi eventi l’incontro con Ladri di biciclette.
(Umberto Eco)



Divenne un film assolutamente fondamentale per noi. Mostrava che la classe operaia era un buon soggetto, o, meglio, che la classe operaia si adattava perfettamente a essere l’elemento principale di un film.
(Ken Loach)



La maggior parte dei registi oggi, di quelli giovani, non sa niente della storia del cinema e, persino se non hanno visto Ladri di biciclette, ne sono sicuramente influenzati, perché tutti lo sono stati.
(John Landis)



De Sica era grande. Un esempio, Ladri di biciclette. Il papà sta incollando un manifesto su un muro. Ha appoggiato lì vicino la sua bicicletta. Gliela rubano. Il neorealismo è come procurarsi una bicicletta. Siamo a Roma, non c’è lavoro. Papà va a casa, prende le lenzuola e le porta a vendere al negozio. Le consegna all’uomo del negozio ed esce. Ma la cinepresa resta dentro al negozio. Segue l’uomo che sale la scala per mettere via le lenzuola. E in quel momento si vede che lì dentro ci sono centinaia di lenzuola, di tutti quelli che sono stati costretti a fare la stessa cosa che ha fatto il papà. Ecco, questo è grande, questo è un tocco di neorealismo.
(Samuel Fuller)



Caro De Sica,
non avendo più, come ai tempi di Sciuscià, un giornale a disposizione per dire quello che penso, sento il bisogno di scriverti queste poche righe per riconfermarti la mia prima impressione di ieri, che a ventiquattro ore di distanza non ha fatto che consolidarsi: il tuo è il più bel film italiano che sia mai stato fatto e uno tra i tre o quattro più importanti film del mondo, da paragonarsi soltanto a opere come Giglio infranto di Griffith o Il monello di Charlot. Soprattutto provo il bisogno di ringraziarti di averci regalato quest’opera, dalla quale tutti dobbiamo imparare e che ci dà coraggio in un momento tanto difficile del nostro cinema. Mi auguro che il trionfo di ieri sia soltanto l’inizio di un lungo successo senza precedenti. Il tuo film è venuto come un miracolo a ridare credito e respiro al cinema italiano, e di questo dobbiamo esserti tutti grati.
(Luigi Comencini, Lettera a Vittorio De Sica, 22 novembre 1948)



Carissimo,
mi parlarono, come capirai, in modo enorme del tuo film, domenica. Non venni, perché avevo paura fosse troppo bello. Ebbi, domenica, molte telefonate. Soffrivo d’invidia. Non volevo andarlo a vedere. Naturalmente, sono poi stato, alla prima, al Barberini, sperando che fosse un po’ meno bello di quello che mi avevano detto. Invece è più bello ma in altro modo. Ancora ti ripeti, sei come Verdi e Chaplin: non ragioni: senti. Anni fa ti dissi che non capivi niente, e dissi che molte volte i geni non capiscono niente, perché sentono, perché vedono. Ora ti dirò una cosa sola. Tu ‘albeggi’. Noi (tutti noi registi italiani) ‘tramontiamo’. Un po’, come te, Einaudi ‘albeggia’. Ma meno di te. È ancora un po’ sentimentale. Tu no. Un popolo sorge. Il popolo dell’Italia Centro meridionale. E una borghesia tramonta: la borghesia dell’Italia settentrionale. Io, che a quella appartengo, capisco, soffro, e non ho la forza irriverente di guardare soltanto all’avvenire.
Telefonami. Soffro.
(Mario Soldati, Lettera a Vittorio De Sica, 26 novembre 1948)



Ossessione
, Roma città aperta, Ladri di biciclette, hanno stupito il mondo – americani compresi – e sono apparsi una rivelazione di stile che in sostanza Informazione non presentea o ben poco deve all’esempio di quel cinematografo di Hollywood che pure dominava in Italia negli anni stessi in cui vi si diffondevano i narratori americani. […] Il maggior narratore contemporaneo è Thomas Mann e, tra gli italiani, Vittorio De Sica.
(Cesare Pavese, Intervista alla radio, 1950, in La letteratura americana e altri saggi, Einaudi, 1991)