Nonostante le pessime previsioni di alcuni esercenti e distributori, come per esempio Amati che pronosticò: «Due giorni al Galliera», ultimo cinema di Roma che in seguito non riceverà più da Leone un film per il suo circuito. Il film fa una fugace apparizione agli Incontri del Cinema di Sorrento ma nessuno se ne accorge, esce quindi a Firenze, in una saletta, il 28 agosto 1964, con il divieto ai minori e senza neanche un tamburino pubblicitario sui giornali. È un venerdì. La sala è un «pidocchietto» con sedie di legno, situata in un vicolo strettissimo. Il direttore commerciale della distribuzione Jolly-Unidis, Renato Bozza, fa acquistare decine di biglietti per impedire che l’esercente tolga il film dalla programmazione. La pellicola incassa 400 mila lire il venerdì, 500 mila il sabato, 800 mila la domenica (quando i buoni film arrivavano al milione e mezzo)…e un milione e quattrocento il lunedì, con la fila al botteghino. Il passaparola è l’unico traino, la vicenda di questo gringo misterioso che arriva in un villaggio, si mette al servizio di due padroni, ponendoli l’uno contro l’altro e alla fine va via nel nulla così come era apparso, appassiona, diverte ed eccita a tal punto il pubblico fiorentino che i produttori decidono di ritirare la copia e preparare un lancio in grande stile, in sale adeguate, nel mese di ottobre. Leggenda vuole che il gestore del ‘pidocchietto’ abbia tentato ogni espediente pur di non restituire la pellicola!
“Il processo per plagio poi non ebbe luogo. Ci fu invece il mio processo contro Papi e Colombo della Jolly Film. La Jolly si appropriò praticamente di tutto: la percentuale sugli utili che io avevo da contratto non mi è mai stata data, con la scusa che non potevano pagarmi a causa del processo messo in piedi da Akira Kurosawa; finimmo in tribunale e purtroppo i miei avvocati non ebbero la forza di chiedere il sequestro cautelativo anche perché erano legati da amicizia agli avvocati avversari… Loro con l’aiuto di un magistrato compiacente si industriarono persino per vendere il film a un’altra società e si rifiutarono di pagare il proprietario spagnolo che aveva messo a disposizione il villaggio per il finale del film…
Fu una causa che andò avanti dieci anni, si risolse in un niente e io persi tutta la percentuale che avevo nel film per pagare le parcelle degli avvocati. Per un pugno di dollari è l’unico tra i miei western che non mi ha dato niente; anzi, è l’unico che mi ha fatto riportare un passivo di cinquanta milioni, per pagare le parcelle degli avvocati, mentre il signor Kurosawa e la Toho fecero il più grosso affare della loro vita perché, per tacitare la cosa, in Giappone presero Per un pugno di dollari che gli fruttò più di un milione e mezzo di dollari. Da allora ho deciso di produrre i miei film, prima con Grimaldi, poi con la mia società, la Rafran. Comunque quando mi dicono che sono stato un plagiario io rispondo che non è così perché ho solo conservato la struttura di base di Yojimbo, a sua volta ispirata a Red Harvest (reintitolato in Italia Piombo e sangue) di Hammett; ho scrupolosamente preso in esame il dialogo del film tradotto dal giapponese proprio per non ripeterne neanche una parola”.
Marcello Garofalo, Tutto il cinema di Sergio Leone, Baldini & Castoldi, Milano, 1999