L’onirismo della grande tradizione del musical hollywoodiano era negli anni andato vieppiù svanendo, mentre per forza di cose era invece rimasta la stilizzazione del canto e della danza. Il lavoro di Donen e Kelly, e specificamente Singin’ in the Rain, si situa in questo periodo di declino che però – bisogna notarlo – non è, o non è ancora, un momento di crisi. Anzi, proprio fra i Quaranta e i Cinquanta la MGM, casa-leader in ambito di musical, sfornerà una serie di pellicole forse non sempre eccelse ma comunque brillanti e gradevoli (talora addirittura sfarzose) che contribuiranno non poco a identificare il genere con la Casa stessa. In effetti, i musical della Metro, poco importa il regista o la qualità dei singoli esiti, esibiscono tutti – senza distinzione – un look preciso e riconoscibile, una qualità patinata, coloratissima, smaltata, lucida e gaia quale nessuna altra produzione poteva vantare.
La vera fortuna della Metro, nell’ambito del musical, fu quella di contare tra le proprie file un organizzatore del calibro di Arthur Freed. Dei tre produttori principali di musical alla Metro (gli altri erano Joe Pastemak e Jack Cummings) Freed fu certamente il più originale e soprattutto il più artisticamente compiuto. Compositore di valore, egli impiegò spesso le sue canzoni nei film da lui prodotti: Singin’ in the Rain nacque anzi proprio da una di esse. La ‘Freed Unit’, il gruppo di Freed, alla MGM operò in pratica per un quarto di secolo, anche se idealmente esso si identifica in un periodo più breve (all’incirca dal 1939 al 1955), e fu responsabile dei migliori musical prodotti della Casa […]. I musical di Freed godevano di una particolare ricchezza produttiva ed erano di solito quelli più ancorati a un versante di fantasia e di vistosità costumistica e scenografica, assecondati in questo dal gusto superiore di Cedric Gibbons, art director per eccellenza della MGM.
Ultimo ingrediente del formidabile cocktail che presiede alla fattura di Singin’ in the Rain, la coppia di sceneggiatori: Comden e Green. […] Gli ingredienti base delle loro sceneggiature erano in fondo alquanto tradizionali: un incontro fortuito (‘boy meets girl’) che portava all’amore, o comunque le vicissitudini di una coppia affiatata che però doveva scuotersi dal torpore dell’abitudine e magari dai pericoli delle errate ambizioni di uno di loro (cfr. il caso di I Barkley di Broadway). Era però tutto ciò che stava attorno a questo scontato nucleo a fare delle loro sceneggiature qualcosa di diverso: strane, inusitate ambientazioni (il museo antropologico in Un giorno a New York), la genialità nel tratteggio di alcuni personaggi comprimari (l’inarrivabile Cordova – ovvero Jack Buchanan – di Spettacolo di varietà), l’originalità di specifiche trovate sceniche e attoriali […] e quella sottesa all’impianto dell’intero film (il complesso intreccio di Singin’ in the Rain nacque dal semplice titolo della famosa canzone).
I pronostici per una perfetta riuscita della pellicola c’erano, insomma, tutti. Il musical come genere era certo sulla china discendente, ma non mancava lo spazio per altre importanti opere che ne chiudessero in bellezza la storia ormai gloriosa. Di questo gran finale Singin’ in the Rain resta senza alcun dubbio una pietra miliare.
Franco La Polla, Stanley Donen/Gene Kelly, Cantando sotto la pioggia, Lindau, Torino 1997
In Singin’ in the Rain i numeri musicali non sono limitati al film nel film, ma si presentano a intervalli regolari all’interno della storia, costruita intorno alle relazioni tra i personaggi principali. Sono inseriti nell’azione. Il numero di Singin’ in the Rain non è solo un intermezzo, ma è concepito come espressione dei sentimenti di Don Lockwood in un momento particolare della sua vita professionale e personale.
Questa attenzione per l’‘integrità drammatica’ dei numeri di danza deriva, in larga parte, dagli sviluppi del musical teatrale di Broadway. All’inizio degli anni Quaranta, l’operetta e la commedia musicale svilupparono una nuova visione, per la quale i balli erano integrati nel racconto come espressione degli stati d’animo e dei sentimenti dei personaggi, anziché essere inseriti semplicemente come momenti spettacolari. Uno sviluppo che coincise con il passaggio di competenze dal ‘dance director’, responsabile dello spettacolo, al ‘coreografo’, responsabile dei numeri di danza. Il coreografo, non più subalterno, cominciò a essere la figura di spicco nella produzione dei musical, e l’esempio dello stesso Kelly, nel cinema, contribuì in modo significativo a questa tendenza.
Peter Wollen, Singin’ in the Rain, BFI, London 2001
La critica ha spesso, e giustamente, differenziato il musical inteso come commedia guarnita di canzoni da quello nel quale, invece, storia e numeri musicali si integrano sino a diventare un corpo solo. […] Singin’ in the Rain opera, in certo senso, a metà fra queste due posizioni. I suoi numeri musicali si suddividono in veri e propri momenti scenici, come ad esempio l’intera sequenza del Broadway Ballet, e in numeri strettamente integrati con l’azione, come ad esempio la sequenza di Good Moming.
Ma le cose sono più complesse. Non si tratta infatti, a ben vedere, di una semplice suddivisione binaria, ma di uno spirito che pervade i numeri indipendentemente dalla loro possibile attribuzione al primo o al secondo caso. […] Singin’ in the Rain non è, né intende essere, un musical innovativo. Al contrario, esso è programmaticamente costruito sul musical del passato: non tanto nel senso tematico (il cinema muto, la nostalgia ecc.), quanto come antologia di quel genere. Meglio ancora, come inventario dell’intero genere musicale ancor prima dell’avvento del cinema. La pellicola è infatti una ricognizione sulla storia del musical e […] non si limita a pescare nel gran mare del musical classico: no, essa ricrea, cioè ripropone, il musical classico. E il paradosso è che questo avviene in un film che dopotutto si incentra sul cinema muto. Si dice di solito che il musical cinematografico è un’invenzione del sonoro, ed è vero, dal momento che ben difficilmente esso avrebbe potuto essere prima di quell’avvento. Ma è un fatto che in un’epoca in cui il sonoro non c’è ancora e i film muti sono l’unica forma di cinema conosciuta e acclamata noi assistiamo ad alcuni numeri musicali formidabili che alludono indiscutibilmente alla storia dello spettacolo musicale teatrale.
Franco La Polla, Stanley Donen/Gene Kelly, Cantando sotto la pioggia, Lindau, Torino 1997