Scarica la cartolina
*****
[A Troisi] il personaggio di Mario, il postino, sembrava “fatto per lui”. L’incontro ebbe luogo nella sua casa un pomeriggio d’autunno, durante il quale potei accertare con piacere e spavento che esisteva una relazione segreta tra il mio postino Mario e l’atmosfera irradiata dalla espressività di Troisi. Le coincidenze erano perfino magiche:
Il postino è fatto di una curiosa mescolanza di ingenuità, impertinenza, umorismo e malinconia, e l’attore Troisi aveva raggiunto il successo grazie alla sua comicità tratteggiata con un accento di tristezza e un certo spavento avido, una tensione irresistibile verso qualcosa di vago e bello. Naturalmente lo avevo ammirato nei film diretti da Ettore Scola e cointerpretati da Marcello Mastroianni, come
Splendor e
Che ora è, ma ora, nell’intimità di casa sua e nella dolcezza della sua convalescenza, mi parve ancora più caldo, ancora più grazioso più sensibile e vulnerabile. […]
Per mesi la produzione fu in pericolo, dato che Massimo Troisi continuava a essere convalescente. Fino a che un giorno i medici lo autorizzarono a lavorare nel film, che prevedeva non soltanto scene a Roma, ma anche nell’isola di Salina. Con un medico al seguito iniziò le riprese delle scene con il suo Pablo Neruda, il mitico Philippe Noiret. […] A metà delle riprese, arrivò la brutale notizia: alla fine del film Troisi avrebbe dovuto sottomettersi a un trapianto cardiaco. Mi tenni informato delle peripezie di questo dramma chiamando settimanalmente dal Cile il regista Radford. Durante una di queste telefonate egli mi confidò che aveva detto a Troisi: “Se la salute non ti permette di proseguire, costi quel che costi devi lasciare il film. La vita è più importante del cinema”. L’attore gli aveva risposto: “Sì, ma il cinema è la mia vita. E a questo film voglio consegnare fino all’ultimo palpito del mio vecchio cuore”. Intanto, il miracolo del cinema si era avverato: i talenti di Troisi e Noiret avevano infiammato lo spirito della troupe.
La sera di sabato 4 giugno Massimo Troisi aveva finito il suo ultimo giorno di riprese, completando tutte le scene previste per considerare il film finito. Sul set si fece un brindisi per festeggiare. L’attore alzò il bicchiere dicendo, come saluto: “Vi amo tutti. Non vi dimenticate di me”. La settimana seguente doveva affrontare il chirurgo che gli avrebbe dato un cuore nuovo. Il sabato, trascorsa la mattinata, leggendo, dopo pranzo si era ritirato a fare un po’ di siesta. Durante il sonno lo avrebbe aggredito la morte. […]
Il cuore, caro Massimo, ti ha lasciato vivere giusto il necessario perché portassi a compimento il personaggio al quale hai concesso “l’ultimo palpito del tuo vecchio cuore”. Forse oggi, dovunque sei, infine hai la risposta alla domanda dalla quale era iniziata l’amicizia del tuo personaggio Mario con Neruda: “Il mondo intero è una metafora di qualcosa?”.
Antonio Skármeta
*****
Presentando questa cartolina, ingresso ridotto alle mostre Bologna fotografata e Bar Luna