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Per apprezzare al massimo il thriller dell’assurdo di Seijun Suzuki, sicuramente uno dei più brillanti film di genere mai realizzati, occorre davvero tenere conto del contesto. Suzuki firmò un contratto con la Nikkatsu nel 1954, e tra il 1958 e il suo licenziamento in tronco nel 1967 diresse quaranta film per la major in declino; erano tutti incarichi che gli erano stati assegnati, pensati per lo più per essere distribuiti come pellicole di serie B in doppi spettacoli. Suzuki continuò a lavorare a questo filone con crescente noia e insoddisfazione fino al 1963, quando l’incontro con spiriti affini come lo scenografo Takeo Kimura e i direttori della fotografia Kazue Nagatsuka e Shigeyoshi Mine lo portò a intraprendere una strada autonoma. […] Di conseguenza, i suoi ultimi tredici film per la Nikkatsu rappresentano un corpus di opere unico nel cinema giapponese, fenomenale sotto ogni punto di vista. […]
Sono per circa la metà thriller yakuza, e Tokyo nagaremono è il penultimo. A differenza del successivo La farfalla sul mirino, rispetta più o meno le convenzioni del genere: l’eroe inesperto, la sua situazione difficile, la ballata malinconica che scorre sui titoli di testa e di coda e la sopravvivenza segnata dalle cicatrici di una serie di tradimenti sono tutti elementi tipici del genere, così come la storia di fondo che racconta la transizione dalla guerra tra bande al grande business apparentemente rispettabile. Senza parodiare o sovvertire questo materiale, Suzuki gli conferisce una costante sfumatura di assurdità esasperando fino all’iperbole gran parte dell’iconografia e molti dei motivi ricorrenti. […]
Tokyo nagaremono antologizza una serie di strabilianti trovate visive che Suzuki e i suoi collaboratori avevano introdotto in film precedenti, ma qui la loro profusione innalza il film a un livello di lirismo che rasenta il delirio. […] Questo grado di plateale ed estatico artificio è in perfetta sintonia con il modo in cui Suzuki elimina senza pietà dalla trama le scene di raccordo convenzionali, facendo avanzare il film da una scena eclatante all’altra. […]
Ciò che infine rende così notevole il film di Suzuki è il modo in cui raggiunge questo livello di astrazione, espressionismo cromatico e disorientamento spaziale e narrativo senza perdere il contatto con la propria identità di thriller di serie B. È come se Powell e Pressburger e Jean-Luc Godard avessero collaborato a un film di Joseph Lewis. È sorprendente che un oscuro film di genere realizzato quasi trent’anni fa in Giappone possieda ancora tanta freschezza e vitalità, e che continui a irradiare un senso così forte delle potenzialità latenti del cinema.
Tony Rayns, “Sight and Sound”, n. 4, aprile 1994
(In caso di pioggia, la proiezione si sposterà al Cinema Modernissimo)