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In anni in cui la tecnologia digitale pare aver tolto ogni limite creativo, il regista Denis Villeneuve (e con lui la Warner) sembrano aver voluto sfidare di proposito questa libertà e, scegliendo di adattare il fluviale romanzo Dune di Frank Herbert, aver voluto porsi nuovi e più ardui ostacoli. A cominciare dalla scommessa di far coincidere le esigenze della spettacolarità mainstream hollywoodiana con le ambizioni d’autore di chi aveva ‘riletto’ Blade Runner. […] Ricreando qui il mondo fantastico del pianeta Arrakis (conosciuto anche come Dune, che è anche il titolo del film), il regista sceglie di restare ancorato a un realismo di tipo più tradizionale. Anche se filtrato attraverso l’immaginazione di Moebius. […]
Era forse l’unico modo, quello di un più ‘tradizionale’ verismo scenografico, per non tradire le ambizioni politiche che erano alla base dell’opera di Frank Herbert e che quando il romanzo uscì (a puntate, nel 1963-64) ne fecero un successo non solo tra i lettori di fantascienza ma anche per quelle generazioni che stavano preparando il Sessantotto. A cominciare dai suoi toni profetici sul rifiuto del consumismo e sulle preoccupazioni ecologiche contro lo sfruttamento delle risorse naturali.
La sfida, allora, era quella di riunire insieme tutte queste caratteristiche, compresa l’atmosfera medioevale che aleggia su tutto il romanzo, dove il mondo in cui si scontrano gli Atreides e gli Harkonnen viene descritto come ‘apertamente feudale’ (lo fa giustamente rilevare Sandro Pergamo nell’introduzione alla nuova traduzione del romanzo pubblicata dall’editore Fanucci). Senza naturalmente dimenticare la dimensione cristologica del giovane Paul Atreides (Timothée Chalamet), sulle cui spalle poggia tutta la saga.
Paolo Mereghetti
Adattarsi o morire. Questo era il mio mantra durante la lavorazione di Dune. Il deserto ha i suoi modi per riportarti al tuo vero io, e liberarti dalle abitudini marce. Devi evolvere per sopravvivere all’esperienza. La realizzazione di questo film è la risposta a una vecchia chiamata, con radici più profonde di quanto immaginassi. Riguardava il destino, la fede e l’istinto, l’alienazione coloniale e il libero arbitrio. Ho parlato di Frank Herbert come il mio nuovo profeta, e del suo romanzo come la mia Bibbia. La natura era il mio Dio. Il silenzio, il mio Spirito Santo. I venti della realtà spostano le sabbie, scolpiscono nuovi paesaggi, cancellano i punti di riferimento: ho pregato per evitare di perdermi. Grazie a Frank, sono tornato vivo. Dune è stato sognato e approntato per l’esperienza cinematografica. Il grande schermo non è semplicemente un altro format, è il centro del linguaggio cinematografico. La forma originale. Quella che resisterà alla prova del tempo.
Denis Villeneuve
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Presentando questa cartolina, ingresso ridotto alle mostre Bologna fotografata e Bar Luna