Vita documentata dell’immaginario Leopold Zelig, che nell’America anni Trenta produce parecchio scompiglio scindendosi in molteplici identità, apparendo e scomparendo in luoghi incongrui, aspirando a confondersi in ogni gruppo e diventando per biblico contrappasso un caso unico, il camaleonte umano. Almeno, gli riuscirà di sfuggire a Hitler. “Volevo parlare del pericolo che si corre abbandonando il proprio vero io, nello sforzo di piacere, di non creare problemi, d’inserirsi, e di dove questo possa condurre una persona, in ogni aspetto della sua vita e a livello politico. Conduce a un estremo conformismo, e a un’estrema sottomissione alla volontà, alle richieste e alle necessità di una personalità forte”, precisò Woody Allen. Zelig è uno dei film della sua stagione d’oro, quando ogni sua opera motivava, oltre un affetto di pubblico (in Europa) mai venuto meno, anche il surplus del confronto culturale. I prodigi del bianco e nero di Gordon Willis, che leviga ogni sutura tra finzione e materiali d’epoca, sono, come scrisse Guido Fink, il miglior “ossequio alla ben nota tendenza ebraica a ‘cancellare i confini”. (pcris)