Poi il film stesso potrebbe chiamarsi Isole perché sono isole i quartieri di Roma, in senso architettonico e come classi sociali, sono isole quelle dell’arcipelago delle Eolie, sono isole anche i medici nella terza parte, ognuno rinchiuso nella propria specializzazione.
(Nanni Moretti)
Il primo Moretti si assesta su un procedere di natura paratattica, una scrittura che predilige la giustapposizione di frammenti, che sottrae raccordi, ponti narrativi, giunzioni causo-temporali. Anche in questo senso si assiste ad una parabola che da Ecce bombo (1978), galleria di quadri asfittici sulla passività dei propri esseri, arriva a quella forma di narrazione di Palombella, dove non è la logica delle cose a tirare le fila, bensì quella del pensiero sconnesso, del rapimento mistico e sensuale, del collasso della realtà. Con Caro diario, anche in questo caso, si arriva all’evidenza con l’utilizzo dell’interpunzione, della rottura del tessuto in parti, in capitoli separati per titolo, temi, messa in scena.
(Federica Villa, Un’autobiografia disattesa. Caro diario, in Nanni Moretti. Lo sguardo morale, a cura di Vito Zagarrio, Marsilio, 2012)
Per Caro diario Moretti respinge la suddivisione in ‘episodi’ e insiste su quella in ‘capitoli’. La parola episodio partecipa dell’ordine del filmico (il film a episodi); capitolo non partecipa di Informazione non presentea, perché segnala semplicemente qualcosa che ha inizio o ricomincia da capo. Non interessano, dunque, gli episodi del ‘film’ – le parti di un discorso esemplare compiuto ed esaurito – premono piuttosto i capitoli di un diario-cinema che attraversi le cose spogliandole della loro Verità. […] Il film è ‘rotto’ (In Vespa–Isole–Medici), ma senza che il botto produca Informazione non presentea di episodico o frammentario: i tre capitoli non esibiscono alcuna ‘messa in scena’, nessuna chiave drammaturgica che alluda a un qualche tessuto connettivo. Il diario del titolo non rimanda a un ‘tema’ (come accade di solito per il film a episodi, da Paisà a I mostri, fino all’estremo Tracce di vita amorosa), ma si accontenta di innescare la successione audiovisiva, avviare l’input, sanzionare l’incipit (il contrario della cornice – come a prima vista ‘diario’ porterebbe a supporre – dove la sequenza narrativa è comunque rimandata a più tardi, non prima di aver chiarito l’occasione grazie alla quale immagini e parole si formano e comunicano). […] Più il film ricomincia da capo – Caro diario… – e meglio il cinema, abbandonati i vincoli della ‘struttura filmica’ organica, autosuffìciente, perfetta e beata di sé, fa leva sulla realtà perché possa esprimersi libera, incoerente e solitaria.
(Flavio De Bernardinis, Nanni Moretti, Il Castoro, 2001)
Caro diario testimonia una libertà narrativa che non ha precedenti nel cinema di Moretti, presentandosi come una serie di frammenti-episodi solo labilmente connessi fra loro. […] Avvicinandosi coerentemente con il suo titolo alla discontinuità della scrittura diaristica, il film offre una serie di episodi, organizzati in tre capitoli, che vengono scanditi da un’alternanza di incontri, spostamenti, riflessioni isolate. […] Moretti raccoglie frammenti biografici, impressioni e riflessioni, senza mai cedere alla tentazione di trasformare la somma delle esperienze in un discorso coerente o in una ricostruzione storica degli elementi che lo compongono. […] Eppure il film narra una storia. Il senso di frammentazione dell’esperienza di accumulo di materiali narrativi discontinui è bilanciato sia dalla continua presenza sullo schermo del protagonista, sia dalla fluidità dei passaggi da un episodio all’altro.
(Simone Marchesi, Accumulazione e sviluppo: il movimento della narrazione in Caro diario, in “Annuali di Italianistica”, vol. 17, 1999)
A rifletterci bene, sono tre traversate. Non è un film a episodi, in fondo: ‘capitoli’ è già meglio. Mettiamola così: è una sonata in tre movimenti; andante con moto, allegro ma non troppo, adagio sostenuto. Se fosse un musicista, lo strumento preferito di Moretti sarebbe il violoncello: grave di suono, ma disponibile per impennate sul registro acuto, di voce calda, ma svelto se occorre, espressivo sempre. Caro diario è diverso dagli altri suoi film, ma uguale. […] Guardate come nel primo movimento la mobile cinepresa di Moretti (e di Giuseppe Lanci) scopre Roma in soggettiva, la sua edilizia, i giardini, i quartieri periferici. O come, nel secondo, inquadra e ferma i paesaggi delle Eolie e la loro luce. Come sa impiegare i campi lunghi e lunghissimi. Chi, se non l’Antonioni di L’avventura – ma è solo un esempio – ha avuto un occhio così, a dimostrazione che la fotografia non è soltanto tecnica di riproduzione della natura, ma visione e interpretazione del mondo? Nella sostanza, però, Caro diario non è narcisista. Moretti rischia di trovarsi addosso l’etichetta dell’autobiografismo che fu attaccata a Fellini. La morte di Pasolini è un vuoto che tocca molti di noi, una bella minoranza. Quel che racconta o inventa sulle vacanze insulari (la dittatura dei figli unici, il consumismo, i tic antitelevisivi degli intellettuali e le smanie per Beautiful) corrisponde alla realtà. Persino Medici, il più autobiografico dei tre movimenti, non è una confidenza imbarazzante, ma lo specchio di un dramma collettivo.
(Morando Morandini, Ma che “Caro diario”. Moretti in tre capitoli, “Il Giorno”, 19 novembre 1993)
La consapevolezza e la capacità di coltivare tanti piaceri, danzando e scodinzolando su una Vespa, derivano dalla cognizione del dolore. È il terzo episodio del diario, Medici, a rendere comprensibile il primo. È ciò che si vede soltanto di sfuggita nel terzo episodio, la malattia, ad aver portato all’elenco di piaceri del primo episodio, che è stato infatti girato dopo. È vero, come è stato detto, che Caro diario è un film sulla solitudine: una solitudine energica, però, temprata dalla malattia e dalla sofferenza, pronta a consegnarsi a qualcuno, quando arriveranno la primavera di Aprile e un bambino. […] Il diario, senza date e diviso in tre episodi, va dunque ricomposto dallo spettatore: prima, viene la scoperta della malattia (il prurito, le visite, le diagnosi sbagliate, i massaggi ai piedi di una signora veneta, la medicina cinese), poi, c’è la malattia (tenuta tanto nascosta nel fuori campo da risultare evidente, decisiva); infine, arrivano i piaceri che la malattia fa scoprire.
(Bruno Fornara, Caro diario. Tante cose mi piacciono più di tutte, in Nanni Moretti, “Garage”, Paravia, 1999)