Cow

Arnold passa al documentario per raccontare quattro anni nella vita di una mucca in una fattoria del Kent. Pone l’obiettivo a distanza ravvicinata dall’animale, quasi a farci percepire il mondo attraverso i suoi occhi, ma senza cadere nella trappola dell’antropomorfizzazione. La mungitura, il pascolo, la monta, il parto. L’attività umana scandisce il suo tempo, mentre le stagioni della vita si susseguono. Arnold prosegue la sua ricerca “sul corpo che più è autonomo, in rivolta o in fuga più scatena apparati di sfruttamento, controllo e imprigionamento spietati” (Roberto Silvestri). Con l’obiettivo di sensibilizzare sui “milioni di vite non umane che utilizziamo e che sono parte integrante della nostra esistenza” (Andrea Arnold).