Sarei più che felice se i ragazzi che vedono il film scoprissero che c’erano anni,
neanche tanto tempo fa, in cui ragazzi come loro andavano a dormire
con la consapevolezza che si sarebbero svegliati non l’indomani,
ma nel futuro, in un mondo diverso.
Bernardo Bertolucci
Lettera immaginaria al mio amico Jean-Claude Biette, critico e regista cinematografico francese che ci ha lasciati inaspettatamente nel giugno scorso, pochi giorni prima che cominciasse il gran caldo. Il Cielo non poteva attendere.
Casemasce (Todi)
12 agosto 2003
Caro Jean-Claude,
qui è l’estate e io sto combattendo con una breve dichiarazione per il catalogo della Mostra di Venezia. So che le parole per presentare The Dreamers non potranno che suonare superficiali e riduttive, così ho pensato di indirizzarle a te, sperando in un doppio miracolo.
Quando si fa un film il Tempo, d’improvviso misteriosamente estraneo alle sue regole, alle sue convenzioni, persino alla sua logica, gioca tutto a favore del cinema, snaturandosi e accettando nuove convenzioni, nuove leggi, una nuova logica. Questa idea mi ha rassicurato ogni volta che ho ambientato nel passato un mio film. Per The Dreamers ho immaginato il corpo a corpo di tre ventenni di oggi, Eva Green, Louis Garrel e Michael Pitt, con tre ventenni del Sessantotto, Isabelle, Théo e Matthew. Ben presto, com’era fisiologico, mi sono accorto che anch’io, come i miei tre personaggi, mi stavo confrontando con il Sessantotto: la macchina da presa era diventata una macchina del Tempo e mi aveva imprigionato.
La scoperta, se non l’essenza di questa avventura, te la riassumo così: la politica, derubata dell’ideologia, oggi così disprezzata, mi pare divenuta una pratica per professionisti, un vuoto a perdere, privo di una visione del mondo, qualcosa di lontanissimo da me. Ma non temevamo già qualcosa di simile durante gli anni Sessanta? Non eravamo tutti degli enfants terribles? Non dimenticherò mai la volta in cui ti muovevi per la mia casa di Roma con il primo joint tra le labbra e recitavi dei versi di Francis Ponge – poeta così caro anche a Godard – camminando sulle mani con le gambe per aria, posizione in cui saresti rimasto per tutta la sera, con la grazia e la pazienza di un saltimbanco. Le Parti des choses… Per il resto, riguardo a The Dreamers, il mio consiglio è semplice: tenersi al titolo.
Con immensa nostalgia, il tuo Bernardo
Bernardo Bertolucci, in Sognando The Dreamers, a cura di Fabien S. Gerard, Ubulibri, Milano 2003
The Dreamers è forse il film più profondamente autobiografico di Bertolucci, quello che tocca le corde del cinema come alimento e luogo di vita più reale del reale: ambientato a Parigi, nel 1968, nei mesi in cui la contestazione generale passa anche per la Cinémathèque Française, scossa dall’‘affaire Langlois’ e dal tentativo governativo di sottrarre la cineteca al suo creatore, il film cerca di trasmettere alle generazioni odierne il senso di quella passione totalizzante per il cinema che ha guidato una generazione di giovani e ha contribuito alla loro formazione. È ancora una volta una rivisitazione, carica di affettività, dell’Educazione sentimentale e del difficile passaggio delle colonne d’Ercole della giovinezza. Anche qui la macchina da presa sembra voler catturare il respiro dei suoi protagonisti, farci sentire come la luce del cinema possa costituire per un certo tempo l’alimento fondamentale della loro esistenza.
Gian Piero Brunetta, Il cinema italiano contemporaneo. Da ‘La dolce vita’ a ‘Centochiodi’, Laterza, Roma-Bari 2007
Non siamo davanti alla dicotomia cinema/realtà (quel dire un film sul Sessantotto): The Dreamers è la realtà, il suo tempo declinato senza rotture tra passato e presente nella dimensione del cinema, che è quella in cui si pone il regista. Anzi, dell’immaginario come solo possibile spazio di un’utopia. Il ‘fuori’ del sasso – “la rue” degli slogan del Maggio – non è più vero di quanto abbiamo visto vivere dai ragazzi fino a quel momento ‘dentro’, perché solo questo flusso, quasi un rispecchiamento, permette la verità.
La ‘verosimiglianza’ infatti non è il problema di Bertolucci, non lo è mai stato, ma come i ragazzi, come Isa, il suo passare ‘attraverso’ il cinema, quello che ama e il suo, dissemina nel film la sua esperienza, ci parla del suo vissuto, è lì che si mette in gioco, si scopre, rivela il suo pensiero sulla realtà.
C’è molto amore per la gioventù – ‘avere vent’anni’ (anche questo un luogo letterario) – in The Dreamers, ma senza nostalgia, con la tenerezza a cui corrisponde il gesto filmico di trasferirvi lo spirito di un’epoca.
Dove è Bertolucci quindi? Ovunque, siamo nel suo mondo, l’universo che compone la sostanza del suo cinema, l’immaginario di una vita, i film amati e i suoi che non si possono scindere. Oscillando da un personaggio all’altro si dissolve nei tre come un unico corpo vivo e desiderante. Non si tratta di autobiografia, anche se nel finale appartiene a Bertolucci forse più la scelta di Matthew che volta le spalle alla violenza, rispetto a quella di Théo che impugna la molotov scagliandola contro i poliziotti. Il Sessantotto in quel momento è già memoria, coniugata al presente e al futuro, nel sogno che possa essere ancora possibile un’utopia rivoluzionaria in cui si confondono senza fratture il desiderio e la vita.
Cristina Piccino, The Dreamers, in Bernardo Bertolucci. Il cinema e i film, a cura di Adriano Aprà, Marsilio, Venezia 2011
Mi capita davanti, tra i ritagli stampa della Mostra di Venezia, la mia foto col pugno chiuso, nell’improbabile scenografia dell’imbarcadero dell’Hotel Excelsior. La mia espressione da vecchio elefante ferito mi ricorda che non bisogna mai dimenticare di prendersi in giro e di guardare se stessi con lieve imbarazzo. Natalia Aspesi, con sottigliezza, velocemente, mi ha chiesto se quel pugno chiuso fosse nostalgia. Ho risposto di sì. Forse la nostalgia di un’antica provocazione mai messa in atto. Sento in giro molta perplessità e vedo ghigni sardonici. Che sta accadendo? Cosa sono tutte queste sciocchezze sulla parola nostalgia? Che cos’è questo coro di insulti storico-filosofici contro la parola utopia, se non il tentativo revisionista di screditare tutto il Sessantotto, che nell’idea di utopia affondava le sue radici? Da parte mia sarei più che felice se i ragazzi che vedono il film scoprissero che c’erano anni, neanche tanto tempo fa, in cui ragazzi come loro andavano a dormire con la consapevolezza che si sarebbero svegliati non l’indomani, ma nel futuro, in un mondo diverso. Insomma, se era giusto ribellarsi allora, oggi lo è ancora di più. Mi chiedo se i giovani ‘new global’ potranno riconoscersi almeno un po’ nelle mie parole.
Bernardo Bertolucci, in Sognando The Dreamers, a cura di Fabien S. Gerard, Ubulibri, Milano 2003
‘Sogno’ è oggi una parola screditata quanto ‘ideologia’. I sognatori non hanno i piedi per terra, non stringono, parlano d’altro, rompono le scatole con le loro utopie, sono la palla al piede della politica realista dei piccoli passi… The Dreamers dicono il contrario: solo il sogno ha la potenza di ricreare la realtà, di riscriverla dai dettagli, di fare scoccare dal ‘normale’ andamento delle cose la scintilla di nuove circostanze. Senza sogno non c’è realtà; senza desiderio non c’è politica; senza rivoluzione dell’intimità non c’è trasformazione collettiva. Di più: senza estremismo della mente, senza apertura alla messa a rischio radicale di sé, non c’è spostamento: né grandi né piccoli passi. Solo una enorme pretesa, questa è la dedica di Bertolucci ai ventenni di oggi, ottiene e sedimenta risultati. Al di qua di questa enormità non si fa strada il realismo ma solo il conformismo: un grigio adattamento alla norma sociale sempre disponibile alle avventure autoritarie, come più di un protagonista di Venezia 2003, Margarethe Von Trotta in testa col suo magnifico Rosenstrasse, non cessa di ricordare, ritornando sulle tragedie dei fascismi come su una insistenza dell’inconscio politico novecentesco sempre in agguato. Perché, anche su questo ha ragione Bertolucci, il tempo non è una linea, non va né avanti né indietro, un film sul passato è sempre un film sul presente, raccontare come siamo stati vuol dire mettere all’ordine del giorno come potremmo di nuovo essere. Nella sonnolenza del conformismo che è l’anticamera del fascismo, tanto nei regimi autoritari novecenteschi quanto in quelli massmediatici del Duemila, qualcuno può sempre ricominciare a sognare, rompere un vetro con un sasso e riaprire le danze, non con l’ultimo e disperato ma con il primo e spensierato tango.
Ida Dominijanni, Sessantotto, il focolaio magico, “il manifesto”, 2 settembre 2003