Matrimonio all’italiana

(Italia/1964) di Vittorio De Sica (102')
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Matrimonio all’italiana

(Italia/1964) di Vittorio De Sica (102')

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Nel 1964 De Sica torna a Napoli per girare un film tratto dall’opera più celebre di Eduardo De Filippo, la sua “creatura più cara”, già molto rappresentata in giro per il mondo (a Parigi da Valentine Tessier, a New York da Katy Jurado) – per non dire delle migliaia di repliche sui palcoscenici italiani, protagoniste prima una leggendaria Titina, sorella di Eduardo, poi Regina Bianchi. Preferisce tuttavia (o non può, o non osa) non intitolare il film Filumena Marturano. Del resto, Eduardo viene interpellato per la sceneggiatura, ma subito sparisce; all’opera si accingono i soliti noti che hanno dato gloria al recente cinema italiano, e che rimodulano i tre atti della commedia in una scansione di flashback. Matrimonio all’italiana è titolo che ammicca, si traduce bene, ribilancia il peso dei divi: Sophia e Marcello all’apogeo della carriera, in un turbinio di Oscar e glamour. La sfida evidente è trasformare questa Loren, spettacolare e trentenne, nella consumata e drammatica Filumena. Per Mastroianni è più semplice: reinventa Domenico Soriano in chiave di gaglioffo amabile, galleggia da par suo sulla capacità di seduzione che in Eduardo era solo presunta o già sepolta. Formidabile il lavoro degli attori e con gli attori, formidabile la scenografia. Gli ambienti del dopoguerra piccoloborghese di Eduardo diventano interni cavernosi, percorsi da un senso di disfacimento. Intorno, Napoli aggiornata al 1964 appare un luogo estraneo e involgarito: e infatti qua e là si canticchiano le strofe nostalgiche di Munasterio ‘e Santa Chiara (“penz’ a Napule cum’era...”). Alla fine troviamo i due alle falde del Vesuvio, in un paesaggio grigio, in una scena che ha non poco di assurdo: due vecchi amanti, che hanno avuto tutta la vita per disgustarsi a vicenda, cedono a un improvviso quanto improbabile riaccendersi del desiderio. Eppure in questo incongruo avvinghiarsi, così smaccatamente italian-international style (Carlo Ponti produce e sorveglia), De Sica, che è artista grande non meno che lucido uomo di spettacolo, fa esplodere il senso delle eduardiane “vite scaraventate l’una contro l’altra”.

Paola Cristalli

 

Il divertimento di De Sica come persona era incredibile. Come regista, andava diritto ai sentimenti, preciso, senza nessuna sbavatura, e poi era straordinario nella conduzione dell’attore, del resto lo si vedeva da come riusciva a fare lavorare i bambini. Mi ricordo tutte le storie che si raccontavano sulla sua pazienza con loro, e invece ogni tanto non ce la faceva più e cominciava a urlare “Brutto figlio ‘e ‘ntrocchia, ti spedisco al correzionale”. E si può anche capire, perché tra la situazione delle due famiglie, il gioco, gli impicci della produzione, era un uomo stanco. Io lo guardavo sempre con ammirazione perché per me più italiano di così non si poteva essere, e quando dico italiano intendo il meglio. Con tutti i suoi difetti, era un personaggio esaltante.

Marcello Mastroianni
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Film in lingua italiana

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